Suicidi in carcere, i dati di una strage silenziosa - Diritto di critica
Una morte silenziosa, attenuata dalla colpa, che rende ogni gesto estremo una meritata condanna. Sovraffollamento, condizioni di vita precarie e insostenibili. Sono le carceri italiane, dove la pena si sconta con la quotidiana lotta alla sopravvivenza. Leggende, storie del Belpaese, titoli ad effetto: tutto diventa maledettamente reale quando a parlare sono i numeri. Così nel 2011 è stata strage di detenuti: 186 i morti. Tra questi 66 sono i suicidi accertati, 23 le morti ancora da chiarire, un omicidio e 96 decessi per cause naturali. I dati, diffusi dalle associazioni “Ristretti Orizzonti”, “Antigone” e “A buon diritto”, raccontano un dramma reale che non può più essere ignorato.
L’ultimo lo scorso 11 gennaio: un detenuto del carcere di Brucoli, ad Augusta, nel Siracusano, si è impiccato nella sua cella con i lacci delle scarpe a pochi giorni dall’inizio della detenzione. Si trovava in regime di isolamento. Stessa storia a Firenze dove, nei primi giorni dell’anno, un trentunenne si è tolto la vita nel bagno. Dall’inizio del 2012 sono quattro i casi accertati: la tendenza non accenna ad invertire la rotta.
Organico ridotto e scarsa sorveglianza. La mancanza di personale nelle carceri si traduce in assenza di controllo, soprattutto verso quei soggetti considerati psicologicamente più deboli e quindi più inclini a commettere gesti estremi. Poi c’è il sovraffollamento: in tutti gli istituti penitenziari nei quali si è registrato più di un suicidio nell’anno 2011 il tasso di sovraffollamento risulta essere superiore alla media nazionale. In particolare nel carcere di Castrovillari (Cs), si registrano 2 suicidi su “soli” 285 detenuti presenti e una media del 217% di affollamento.
Lo ha detto il Papa e anche il Presidente della Repubblica; lo denunciano quotidianamente fatti di cronaca come quelli appena descritti, che con la loro ripetitività testimoniano l’esistenza di un problema reale. La politica ne parla, ma con sterili e inefficaci slogan. Così dal nord al sud si rincorrono appelli ai Palazzi, affinché la situazione dietro le sbarre possa migliorare. Il 12 gennaio, una delegazione in rappresentanza del Cartello “Sovraffollamento: che fare” ha incontrato il Ministro della Giustizia Paola Severino. Molti i temi sul tavolo del confronto: tra questi la necessità di modificare la legge Fini Giovanardi sulle droghe, la ex Cirielli sulla recidiva e la Bossi Fini sull’immigrazione, evitando la custodia cautelare e potenziando le soluzioni alternative. Inoltre, al fine di favorire la condizione di alienazione imposta ai detenuti per tutta la durata della pena, si potrebbe pensare di aumentare il numero di incontri e telefonate a disposizione, così da mantenere saldi i legami familiari extra carcerari.
Il problema sta nella gestione delle condanne, nell’eccessiva durata dei processi e nel numero elevato di reati che implicano la detenzione. La qualità degli istituti penitenziari è bassa, causa il perenne deficit di personale. Ma la carenza più evidente riguarda l’ambito della tutela dei diritti umani, perché laddove c’è rifiuto della vita c’è violazione. E una tal violazione non conosce ordinaria, adeguata pena. Per questo occorre intervenire.
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