Titoli di Stato, la speranza c'è ma la recessione pesa ancora - Diritto di critica
La luce in fondo al tunnel c’è, se soltanto non sbagliamo la curva. L’asta dei titoli di Stato di ieri è una boccata d’ossigeno per le casse statali: sono stati piazzati Bot per 12 miliardi al tasso d’interesse del 2,7%, la metà rispetto a dicembre (5,3%). Il Governo Monti festeggia con cautela, anche se il merito non è tutto suo: gran parte dei titoli è finita nei portafogli delle banche, finanziate a tasso agevolato dalla Bce. Con qualche timore per le aziende.
L’iniezione di fiducia arriva dopo le dure scelte del governo Monti (pensioni e tasse in primis), consacrate dalla cancelliera tedesca Angela Merkel all’ultimo vertice con il nostro premier. Bene anche lo spread, sceso al di sotto dei 480 punti base, e in calo lento ma deciso. Il “successo italiano” giova anche all’euro, che riprende terreno sul dollaro.
Ma le ombre non mancano. Ad acquistare titoli di Stato, ieri, sono state soprattutto le banche. In particolare, quelle italiane, che hanno prelevato tali fondi dai 116 miliardi di euro raccolti low cost presso la Bce. E l’effetto negativo si riflette sulle imprese, come già sottolineava il nostro giornale in un articolo del 23 dicembre; la liquidità immessa dalla Bce, infatti, non finisce nei prestiti alle aziende – con conseguente ripresa dell’economia reale – ma resta immobilizzata nelle casse dello Stato e nei portafogli degli istituti di credito.
Certo, questo meccanismo aiuta il recupero e la “lotta” al debito pubblico. Ma sul breve periodo mantiene strettissimo il cappio al collo di migliaia di imprese, proprio nel momento peggiore per l’economia. E a farne le spese, sono prima i lavoratori, poi lo Stato (con gli ammortizzatori sociali) e infine i contribuenti. Tanto per cambiare.