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Diritto di critica | November 5, 2024

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Parola d'ordine: liberalizzare. Ma si parta dai notai - Diritto di critica

Parola d’ordine: liberalizzare. Ma si parta dai notai

Vivevamo in un paese equo. Negli ultimi 10-15 anni l’Italia è divenuta uno dei paesi economicamente avanzati, dove è più forte la diseguaglianza di reddito. Lo sostiene uno studio del How Canada Performs. Negli ultimi anni ci sono stati italiani che si sono arricchiti, altri che si sono decisamente impoveriti. Così la forchetta tra indigenti e paperoni si è allargata a dismisura. Solo gli Stati Uniti fanno peggio, ma loro, si sa, non amano molto le parole “welfare state” e “redistribuzione”. Invece in Italia lo stato sociale esiste ed è anche piuttosto costoso. Il problema, forse, dipende dal fatto che non protegge (o non protegge adeguatamente) chi ha realmente bisogno. E soprattutto i suoi pochi benefici vanno a farsi benedire di fronte alle corporazioni e ai monopoli difesi dalla politica.

Con l’euro la ricchezza si è spostata. La crisi ha contribuito ad impoverire certi strati della popolazione. Ma il processo di erosione del potere d’acquisto (che non riguarda tutti gli italiani) inizia da più di un decennio fa. La mala gestione dell’entrata in vigore dell’Euro che ha fatto schizzare in alto i prezzi, ha favorito un fenomeno di redistribuzione che ha avvantaggiato i lavoratori autonomi e svantaggiato i lavoratori dipendenti, ad eccezione delle categorie più protette che sono riuscite ad ottenere adeguamenti salariali in linea con l’incremento dell’inflazione. Così i soldi sono usciti da una parte ed entrati dall’altra, arricchendo certe categorie, ed impoverendo soprattutto il ceto medio impiegatizio.

I monopoli, la nostra rovina. Chi si è arricchito è soprattutto chi ha avuto modo di sguazzare nei vari regimi monopolistici che esistono in Italia. Complici le privatizzazioni degli anni novanta che non sono state seguite dalle dovute liberalizzazioni oggi ci ritroviamo a pagare autostrade, acqua, luce e gas a prezzi ben maggiori rispetto a dieci anni fa. E su questo la crisi c’entra veramente poco. Negli ultimi 10 anni, secondo i dati forniti dalla Cgia di Mestre, tra il 2000 e il 2010 le tariffe dei servizi pubblici sono aumentate più dell’inflazione, con una variazione media del +23,9%. La tariffa dell’acqua potabile è cresciuta del 55,3%, quella della raccolta rifiuti del 54% e quella dei trasporti ferroviari del 43,9%. In quarta posizione nella triste classifica ci sono le tariffe autostradali, con il +38,5%, i taxi, con il +35,4%, il gas, con il +33,2% e i trasporti urbani, con il +31,4%. Nella parte bassa della classifica, invece, troviamo i servizi postali (+29,3%), l’energia elettrica (+24,3%). Ma non ci sono stati solo aumenti: la telefonia, unico settore realmente liberalizzato, ha invece registrato una sensibile flessione: grazie alla privatizzazione della rete telefonica e all’apertura del mercato a una miriadi di concorrenti, i prezzi sono scesi dell’11,7%. In particolar modo il settore della telefonia mobile ha visto nascere una costellazione di compagnie “virtuali” che si sono affiancate a Tim, Vodafone, Wind e H3G. L’aumento dell’offerta ha abbassato i prezzi. Ma gli altri settori?

Se ci si mette anche il conflitto di interessi. La gestione della rete autostradale è affidata in gran parte ad una società privata Autostrade per l’Italia spa, il cui azionista di maggioranza è una società di proprietà della famiglia Benetton. Essendo le autostrade un monopolio naturale, è di fatto impossibile procedere alle liberalizzazioni dopo averle privatizzate. Per questo dovrebbe essere lo Stato a stabilire le tariffe per abbattere l’extraprofitto che nasce dal regime monopolista. Stesso discorso per quanto riguarda la distribuzione dell’acqua e i trasporti pubblici. Ma le tariffe, spesso stabilite dallo Stato o dagli enti locali, sono cresciute più dell’inflazione, senza un sensibile miglioramento del servizio. In un Paese fondato sul conflitto di interessi e dagli oscuri intrecci tra interessi privati ed interessi pubblici non c’è da stupirsi. E talvolta certi incrementi delle tariffe, come nel caso dell’acqua, non dipendono dalle privatizzazioni (solo un terzo delle società che gestisce la distribuzione dell’acqua è privata) ma degli stessi enti locali che, pur di far cassa, hanno fatto lievitare il prezzo del bene pubblico per eccellenza.

Colpire i tassisti, ma non dimenticare i notai. Ben vengano le liberalizzazioni, quindi. Ma perché partire dalla catena più debole delle caste, come quella dei tassisti? Va bene aumentare le licenze (chi vi scrive è favorevole alla totale liberalizzazione delle licenze e delle tariffe) che permetterebbe soprattutto ai giovani di poter lavorare in questo settore senza dover aprire un mutuo per acquistare una licenza che oggi costa quasi 200mila euro. Ma un tassista oggi guadagna mediamente 2mila euro netti al mese, non esattamente uno stipendio da nababbo (dati forniti da Uritaxi). Con l’aumento delle licenze un tassista, secondo la categoria, potrebbe guadagnare 1.200 euro al mese. Certo, c’è chi oggi guadagna molto di meno. Ma anche chi molto di più. Allora si avvii un processo di liberalizzazioni che parta invece dai notai, protetti dal numero chiuso (come anche i farmacisti proprietari di farmacie) e da una legislazione che obbliga aziende e privati a richiedere prestazioni dalla dubbia utilità. Partiamo dal loro tariffario, aboliamolo e consentiamo la concorrenza. E lo stesso valga per gli avvocati. Ma di notai e soprattutto di avvocati è pieno il Parlamento, mentre di tassisti nemmeno l’ombra.

Parola d’ordine: giustizia. Colpire avvocati, notai e farmacisti forse non creerà un’enorme spinta alla crescita, ma servirà per redistribuire la ricchezza che negli ultimi 10 anni è finita nelle mani di pochi, a scapito di molti. È un problema di giustizia sociale.

Monti ha un compito importante ma non può svolgerlo da solo. Servono i voti in Parlamento. Per questo il timore che il governo faccia solo un buco nell’acqua è più che fondato. Non saranno le licenze dei tassisti a cambiare l’Italia.

Comments

  1. Francescoberti90

    ahahah i tassisti in parlamento e certo , loro si che hanno studiato per anni la giurisprudenza. Ma per favore.