Embargo all'Iran, l'Italia frena: ci costerebbe troppo - Diritto di critica
Siamo ad un passo dall’embargo petrolifero contro l’Iran, ma troppo ci costa. Il nostro paese compra il 14% del petrolifero da Teheran, soprattutto da quando la Libia ha interrotto e ridotto le esportazioni di greggio. Monti avvisa la Ue: ok alle sanzioni economiche, ma che siano “graduali” e ragionevoli. E soprattutto che non danneggino troppo l’Eni, a cui Ahmadinejad deve 2 miliardi di dollari in arretrati di consegne. Ed ora non vuol pagare.
L’attentato di ieri a Teheran, in cui è morto il quarto scienziato iraniano legato al programma nucleare in 2 anni, ha riacceso la tensione e ridotto i margini di trattativa. Ahmadinejad cerca appoggi nel tour sudamericano (oggi incontrerà Fidel Castro) e assicura che “il programma nucleare è irreversibile”. Deve però fare i conti con le nuove sanzioni, già annunciate e in arrivo.
Gli ambasciatori di Francia, Regno Unito e Germania all’Onu hanno nuovamente accusato Teheran di violare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, arricchendo l’uranio fino al 20%. Sulla stessa linea il presidente di turno dell’Ue, il danese Villy Soevndal, che già parla di una data: il 23 gennaio, al vertice dei ministri degli esteri europei, si deciderà quali sanzioni imporre e in che tempi. Ma garantire le importazioni, come assicurato da Bruxelles, non sarà facile. Specie per noi.
L’Italia importa dall’Iran il 14% del petrolio che le serve (Spagna e Grecia il 13% ciascuna). Lo fa attraverso l’Eni, che ha accumulato dal 2001 un credito di 2 miliardi di dollari con la compagnia petrolifera nazionale Nioc. Ora che l’embargo si avvicina, Ahmadinejad annuncia che il debito (da saldare in consegne di greggio) non verrà onorato. Poi la Nioc smentisce, ma la sostanza della minaccia resta. Il colpo sarebbe molto duro per l’azienda, e comporterebbe un nuovo aumento del prezzo della benzina (già vicino alla soglia di 1,8 euro per litro). Monti sa che non possiamo permettercelo e pone due condizioni a Bruxelles: sanzioni graduali – ossia spalmate da qui al 2014, progressive – e con l’esclusione dei debiti verso l’Eni.
Mentre Washington e Tel Aviv lavorano sulle opzioni militari per bloccare l’atomo iraniano (senza compromettere le esportazioni di greggio saudita nel Golfo Persico), l’Italia valuta i rischi economici. La benzina a 2 euro il litro fa molta più paura dell’atomica (e forse a ragione).