India e Giappone, l’alleanza che preoccupa Pechino - Diritto di critica
Dopo la visita del primo ministro giapponese Yoshihiko Noda in India questa settimana, i rapporti economici tra i due paesi sono migliorati. E’ stato siglato un accordo che prevede esercitazioni navali congiunte nell’Oceano Indiano, investimenti per 4,5 miliardi di dollari, da parte del Giappone, per un corridoio merci tra Mumbai e Nuova Delhi e il rafforzamento di un accordo esistente, per lo scambio di valute, da 3 a 15 miliardi di dollari. Ognuno di questi accordi è interessante per diversi motivi: a cominciare dalla strategia indiana che, dopo le precedenti tensioni con Pechino negli ultimi tre anni, sta cercando di rafforzare le relazioni diplomatiche con Tokyo.
India e Stati Uniti hanno fatto registrare, nell’ultimo anno, una convergenza di interessi, anche se non si può ancora dire che la seconda nazione più popolosa al mondo sia pronta ad affidarsi completamente a Washington. Dopo il fallimento della vendita dei caccia americani, l’India si è rivolta agli Stati Uniti in materia di sicurezza e intelligence in Asia Meridionale.
Il grande investimento del Giappone nel Delhi-Mumbai, il corridoio industriale in grado di collegare le due città indiane più importanti del paese, potrebbe favorire il proliferare delle relazioni commerciali tra i due paesi. Un’opera architettonica mastodontica che ha incontrato non poche difficoltà per la realizzazione.
Sono stati spesi, finora, diversi miliardi di dollari, ma il progetto è ancora in fase di pianificazione. I politici indiani sono, tuttora, in competizione per assicurarsi una parte degli eventuali ricavi. Gli agricoltori della zona sono in subbuglio, perché si vedrebbero sottratte le proprie terre. Nonostante le difficoltà di fare affari in India, 1 miliardo di persone rappresenta un mercato troppo vasto che l’industria giapponese, e in particolare le case automobilistiche come la Toyota, non può ignorare. L’ex primo ministro giapponese Abe, oltre all’attuale, ha da sempre sottolineato l’importanza del progetto.
L’India, dal canto suo, ha una cronica lentezza nel realizzare le infrastrutture necessarie per facilitare l’ingresso dei potenziali consumatori nelle aziende nazionali ed estere. Le ragioni sono le più disparate, ma quella determinante è l’assenza di una politica economica che consenta di finanziare gli investimenti in questo settore. Ciò è percepito dagli imprenditori come un ostacolo enorme. Senza la solidità nel mercato delle obbligazioni societarie, gli investitori sono costretti a ricorrere a prestiti a breve termine delle banche per finanziare i propri progetti.
Poche aziende, però, accettano nei loro bilanci, prestiti bancari a tre anni e svariati milioni di dollari, e quindi l’ingresso di capitali stranieri è diventato un fattore cruciale. Gli investitori giapponesi vorrebbero intervenire, colmando queste lacune.
Il ‘currency swap’ (scambio di valute) rappresenta una delle necessità più impellenti dell’economia indiana, visto la svalutazione della rupia anche rispetto al dollaro. Più è debole la moneta, più le aziende indiane hanno difficoltà nel dotarsi di hardware industriale e tecnologia di cui hanno bisogno per crescere. Gran parte della crisi è dovuta alla lentezza delle riforme economiche in India, ma anche dall’oggettiva recessione in tutta Europa.
Il Giappone, invece, ha il problema opposto: lo yen è in ripresa nei confronti del dollaro e ciò rende le esportazioni più costose per i consumatori Usa, che non possono permettersi di comprare dovunque.
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Questa “strana” alleanza può rappresentare un nuovo asse economico nel panorama disastroso attuale.
Un giorno vedremo gl’italiani emigrare in India per cercare lavoro.
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