Speciale Myanmar - La Clinton in Birmania, inizia la guerra di Obama allo strapotere cinese nel Pacifico - Diritto di critica
Scritto per noi da Giovanni Verde
La storica visita del Segretario di Stato americano Hillary Clinton in Myanmar, l’ex Birmania, è stata salutata con entusiasmo dalle opinioni pubbliche occidentali. Gli Stati Uniti hanno confermato il ruolo di guardiano globale di democrazia e di diritti umani attraverso l’incontro, fortemente mediatizzato, tra Clinton e San Suu Kyi, dissidente del governo birmano, Premio Nobel per la Pace nel 1991.
Myanmar verso la democrazia. “Sono qui perché il Presidente Obama ed io siamo molto soddisfatti delle riforme intraprese dal governo di Myanmar”, ha dichiarato il capo della diplomazia americana incontrando il Presidente del Paese asiatico Thein Sein. Washington spera in una trasformazione democratica di Myanmar. Clinton ha già promesso, al riguardo, la riduzione delle sanzioni che al momento impediscono contatti commerciali tra i due Paesi.
Gli interessi americani nell’area. Ma è tutt’altra la strategia americana nascosta dietro una visita il cui precedente risale al lontano 1955, quando John Foster Dulles era Segretario di Stato dell’allora governo Eisenhower. La stessa Hillary Clinton ha spiegato su Foreign Affairs che per l’amministrazione Obama la priorità geopolitica è il Pacifico, più che il Medio Oriente. Infatti, le alleanze storiche, con paesi come Corea del Sud e Giappone, da sole non bastano più a mantenere l’influenza in un’area che vede l’ascesa economica e strategica della Cina e la crescita straordinaria di paesi come il Vietnam, la Thailandia e l’Indonesia.
Rapporti con gli Usa fino ad oggi inesistenti. Myanmar ha subìto un colpo di stato nel 1962 ed è stato guidato da una giunta militare fino al 2010, quando il governo ha emanato una sorta di Costituzione, mettendo formalmente fine alla dittatura. Nel 1990 non fu riconosciuta la vittoria della National League for Democracy, guidata proprio da Aung San Suu Kiy e le proteste furono represse nel sangue. Dall’anno del colpo di stato militare, i rapporti tra gli Stati Uniti e l’ex Birmania sono pressoché inesistenti.
La penetrazione cinese nel Paese. Solido, invece, è il rapporto tra Myanmar e la Cina. Un legame caratterizzato dall’abbondanza di risorse energetiche presenti nel Paese del Sud-Est asiatico e dalla sua posizione strategica per i traffici commerciali nel Pacifico, due fattori che l’amministrazione cinese sfrutta da tempo. Solo recentemente il rapporto tra i due paesi si è incrinato. Myanmar ha infatti sospeso la costruzione di alcune dighe avviata da un’azienda di proprietà del governo cinese.
Gli Usa: nuovi amici contro Pechino. Il tempismo dell’amministrazione americana nella decisione di riavvicinarsi alla Birmania, paese definito ostile, evidenzia la volontà di accentuare la presenza e la capacità d’influenza nell’area, per contenere lo strapotere cinese ed evitare che Pechino diventi l’unico grande punto di riferimento nel Pacifico.
Smarcarsi dall’Europa e guardare il Pacifico. La decisione di Washington rientra nella rivalutazione complessiva delle priorità americane nello scacchiere mondiale, anche in considerazione della crisi profonda dell’Unione Europea. Una crisi, oltre che economica, anche di sicurezza e di difesa. Da tempo l’amministrazione Obama cerca di smarcarsi gradualmente dal teatro europeo, seguendo da vicino i problemi economici, ma cercando di non entrare nelle complesse questioni strategiche del Vecchio Continente.
Nel 1945, col Giappone in ginocchio, gli Stati Uniti ebbero gioco facile nell’imporre la loro influenza in Asia. Stavolta il “ritorno nel Pacifico” è tutt’altro che semplice. La Cina è lì, da leader mondiale, a seguire le mosse di Washington, pronta a contrastarle.