Calcio e droga: la ragnatela di Padovano e gli interessi della “mala” - Diritto di critica
Dagli albori della sua carriera professionistica, dal 1986 al 1990, Michele Padovano contribuì alla promozione del Cosenza dalla ex serie C (ora Lega Pro) al campionato cadetto, arrivando a sfiorare la serie A. Raggiunse l’apice del successo con la Juventus, vincendo uno scudetto, trofei nazionali, europei e internazionali. L’ex ct della nazionale Cesare Maldini lo convocò per le gare di qualificazione ai mondiali di calcio in Francia nel 1998. Fama e successo lo sedussero e poi l’abbandonarono, come spesso accade per i calciatori, quando le luci della ribalta si spengono. E lì inizia il calvario giudiziario di Padovano.
L’inchiesta ‘Tuareg’, che ha portato al suo rinvio a giudizio e poi alla condanna a 8 anni e 8 mesi per la partecipazione a un’associazione dedita al traffico internazionale di hashish (la richiesta del pm era di 24 anni, per l’accusa di essere uno dei finanziatori dell’associazione), ha origini lontane. Era l’ottobre del 2004 quando i carabinieri di Venaria, insospettiti dall’alto tenore di vita di Luca Mosole (amico storico di Padovano), ufficialmente disoccupato, scoprirono numerosi versamenti fatti nell’ufficio postale di La Cassa (piccolo comune in Provincia di Torino). Migliaia di euro in contanti, utilizzati anche per l’acquisto di auto lussuose, raccolti dallo stesso Mosole in una scatola di scarpe e versati. Gli inquirenti hanno poi ricostruito, attraverso pedinamenti e intercettazioni, come migliaia di chili di hashish arrivassero in Italia, nascosti in camion carichi di arance provenienti dalla Spagna. Nel 2006, il giocatore torinese finì in carcere e fino al 2007 agli arresti domiciliari.
Padovano si è sempre dichiarato innocente e, in un’intervista rilasciata ad Alberto Gaino della Stampa, ha precisato che i “25mila euro prestati a Mosole servivano per l’acquisto di un cavallo”. L’ex campione conferma di essere amico d’infanzia di Mosole e di aver condiviso con lui anche momenti drammatici, come quando nel 1997 finì in carcere. “Solo un’intercettazione può sembrare equivoca – ha ammesso Padovano –, quella in cui il mio amico mi propone di portare nella mia villa una gru che si sospettava potesse contenere hashish. Per quell’imputazione, però, sono stato assolto”. Mosole, in primo grado di giudizio, è stato condannato a 15 anni di reclusione e ora è deciso a fare ricorso in appello. In tutto, sono state pronunciate dal giudice 34 sentenze di condanna (per un totale di 268 anni di reclusione) e 5 di assoluzione.
Anche Luca Vialli e Nicola Caricola entrarono, in un modo o nell’altro, nella vicenda. Il primo non fu mai indagato, ma nel corso del processo ammise di aver fumato hashish procuratogli da Padovano. Caricola, invece, è stato prima indagato e poi prosciolto. Nelle ultime ore anche il padre dell’ex calciatore della Juventus Mark Iuliano ha accusato Padovano di essere il ‘pusher’ di decine di giocatori. “In questi anni – ha spiegato Alfredo Iuliano sul profilo Facebook –, Padovano ha tenuto stretti contatti di spaccio anche con qualche giornalista spacciatori. E’ un cancro da estirpare, era un trovatello cresciuto in un orfanotrofio, spacciava già da ragazzo, Dio gli diede l’opportunità di cambiare, invece portò la sua diabolica inclinazione anche nel calcio. E’ stato devastante – ha aggiunto. Mio figlio (Mark Iuliano ndr) lo stimava anche perché da bambino era il suo idolo nel Cosenza”.
Secondo il giudice, non solo Iuliano era uno dei clienti fissi dell’ex centravanti. Anche Vialli, Caricola e Bachini (squalificato a vita per uso di cocaina). Solo hashish giura Padovano: “La sera dopo la partita, ci siamo trovati a cena noi tre, c’era anche Caricola, e dopo abbiamo fumato hashish. E’ successo altre volte che fumassimo 2-3 spinelli. Mai fatto uso di altre sostanze. Mentre gli altri portavano il vino, a me toccava portare il fumo”. Ora Padovano potrebbe denunciare il padre di Iuliano. L’ex giocatore della Juventus è stato tirato in ballo anche per la morte del calciatore del Cosenza Denis Bergamini, ‘suicidatosi’ in circostanze poco chiare.
Prima archiviato, il caso è stato riaperto la scorsa estate. La Procura di Castrovillari ipotizza il reato di omicidio volontario grazie anche a nuove prove. Un delitto, secondo il pm, maturato nell’ambito di un giro legato al traffico di sostanze stupefacenti. Secondo gli inquirenti, un ‘amico’ avrebbe presentato Bergamini ad alcuni boss della malavita calabrese. Il giocatore sarebbe diventato, secondo le ipotesi, un occasionale corriere della droga. Questo spiegherebbe il fatto che la Maserati di Denis avesse un doppio fondo nel bagagliaio e che gli fosse stata venduta a un prezzo di favore da un pregiudicato.
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che sto tremando tutto dalla paura della denuncia di padovano.anzi la sto aspettando.per dirgli in faccia davanti ai giudici di quel giorno che venne a casa mia con lo zaino pieno di droga
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