L'esercito delle bambine addestrate dai Narcos - Diritto di critica
È l’esercito dell’innocenza: ottocento ragazzine tra i 12 e i 17 anni arruolate dal 2009 nelle file del narcotraffico. Ottocento storie diverse accomunate da povertà e abbandono. Ottocento vite rubate alla bellezza di essere giovani donne, in un paese, il Messico, dove nascere donna è forse la peggiore delle condanne. Scelte tra le schiere di una fetta di umanità dimenticata da Dio, scompaiono nel sottosuolo della criminalità organizzata più efferata. Spie, sicari, schiave sessuali al servizio di capi-banda locali: ottocento destini piegati al volere del miglior acquirente. Talvolta vendute dalla stessa famiglia.
Un dramma che strappa al paese giovani corpi palpitanti di vita e restituisce cadaveri martoriati, irriconoscibili. «I criminali portano queste ragazzine nei loro campi, in fattorie isolate, lontani dai loro villaggi di origine, per addestrarle. Molte vengono scelte come dame di compagnia e quando i loro amanti si stufano, le uccidono», spiega Teresa Ulloa Ziaurriz, presidente dell’Organizzazione non governativa “Catwlac” (Coalizione contro il traffico di donne e bambine in America latina e nel Caribe). Un fenomeno crescente, che ha riguardato in un primo momento solo gli Stati del nord al confine con gli Usa, ma che ha progressivamente preso piede anche negli stati centrali e in quelli del sud. «Sono 500.000 le vittime della tratta: l’attuale legge le lascia nel totale abbandono, senza prevedere misure efficaci per perseguire il delitto».
Perla era una di loro. Nell’agosto del 2011 la sua storia ha fatto il giro del mondo: 13 anni, arrestata a conclusione di un violento scontro a fuoco tra bande di narcos rivali al confine tra Jalisco e Guanajuato, nel Messico occidentale; la ragazzina ha raccontato alla polizia di prendere dalla gang criminale dei Los Zetas 8mila pesos al mese, 660 dollari, per lavorare come spia. Una cifra che, agli occhi di chi come Perla può sognare il futuro solo comprandolo, sembra senza pari. Nel carcere di Veracruz non è l’unica detenuta adolescente: alcune di queste venivano addirittura utilizzate come killer.
Bambine ma non solo. La Commissione Nazionale dei diritti umani ha lanciato un appello alle istituzioni affinché provvedano a migliorare le condizioni di vita in cui versano un milione e mezzo di bambini, maschi e femmine, di lingua indigena che vivono in Messico, costretti in condizioni disagiate sin dai primi mesi di vita, addestrati ai meccanismi di un paese senza pietà, mentre invocano il diritto ad un’infanzia normale, che però tarda ad arrivare. Ora tocca al governo: per fermare il fenomeno è necessaria l’approvazione di una normativa generale che punisca severamente gli autori di questo delitto, tutelando le loro giovani vittime.
Perla e le altre diventano simboli di un commercio che impoverisce anziché arricchire. Uno scambio che offre guadagno, ma pretende vita, privando il paese della sua stessa giovinezza. Quella giovinezza col volto luminoso di una bambina dalla carnagione olivastra e gli occhi neri che brillano di speranze. Spia, sicario o schiava non importa. Ciò che importa è il buio che resta quando quello sguardo si spegne, nella consapevolezza di non poter diventare ciò che si vorrebbe: semplicemente donna.