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Diritto di critica | November 5, 2024

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Inseguimento lungo le coste salentine. Migranti finiscono sugli scogli - Diritto di critica

Inseguimento lungo le coste salentine. Migranti finiscono sugli scogli

Dopo il dramma di Carovigno con la morte di tre migranti lungo le coste salentine, nella notte di Lunedì, si è sfiorata un’ altra tragedia. Una imbarcazione con a bordo 189 passeggeri, si è schiantata contro gli scogli tra Santa Cesarea Terme e Porto Badisco, nel Canale d’Otranto. Questa volta non vi è stata alcuna vittima e lo schianto non è avvenuto a causa della burrasca. Lo yacht di 20 metri, con a bordo i migranti, si è scaraventato sugli scogli mentre tentava di sfuggire ad un inseguimento di mezzi navali della Guardia di Finanza.

I soccorritori, coordinati dalla Prefettura di Lecce, hanno lavorato tutta la notte per accogliere i superstiti dell’imbarcazione a motore, battente bandiera turca. Due elicotteri delle forze dell’ordine durante tutta la giornata di ieri hanno continuato a sorvolare il mare, alla ricerca di eventuali naufraghi. I migranti erano quasi tutti asiatici, per la maggior parte iracheni, pachistani e iraniani. Tra di loro erano presenti una decina di bambini e una donna incinta di otto mesi ricoverata in ospedale insieme ai suoi due bimbi. Altri ragazzi hanno presentato ferite procurate durante il salvataggio.

L’INSEGUIMENTO – Gli inseguimenti in mare aperto sono frequenti e pericolosi. Il 15 febbraio 2011, i finanzieri, a bordo delle unità navali e supportati da aerei di ricognizione, inseguivano un motopeschereccio che non si era fermato all’Alt dei militari. In quell’occasione si decise di aprire il fuoco per indurre lo scafista, un 25 enne egiziano, a fermarsi. Fu ferito ad un braccio, ma non era solo e quello sparo avrebbe potuto colpire chiunque a bordo della nave. Ben 32 migranti, molti dei quali giovani tra i 14 e i 17 anni, erano intrappolati tra il terrore dello scafista e l’inseguimento della guardia di finanza.

Né si può dimenticare neanche l’inseguimento del 28 marzo 1997 alla piccola motovedetta stracarica di uomini, donne e bambini: la Kater I Rades. La nave, partita da Valona durante la crisi albanese, si trovò davanti al “muro” italiano. Proprio a causa del tipo di ingaggio previsto dal pattugliamento navale voluto dal primo governo di centrosinistra, morirono circa cento persone. Il governo Prodi, timoroso dell’invasione, varò misure che si avvicinavano molto a un vero e proprio blocco navale.

Come sarebbe avvenuto anni dopo con il governo Berlusconi, l’Esecutivo aveva consentito alla Marina Militare di attuare i respingimenti in alto mare e di eseguire operazioni di “harrassment”, ovvero “azione cinematica di disturbo o di interdizione”. Sbarrare la strada ai profughi e costringerli a tornare indietro era la parola d’ordine. Proprio nel corso di una di queste operazioni, la Kater venne speronata dalla Sibilla e affondò. Solo qualche mese dopo, l’imbarcazione fu recuperata dal fondo del mare. I sommozzatori, all’interno della piccola stiva recuperarono la maggior parte delle vittime, tra queste c’erano donne e bambini abbracciati tra loro.

Krenar Xhavara, uno dei sopravvissuti a quella tragedia, nel naufragio ha perso la moglie e la figlia di sei mesi oltre che tutta la famiglia del fratello. Nel ricostruire quella vicenda ricorda: “ho sempre davanti ai miei occhi quei momenti nei quali morirono più di cento persone. Mi ricordo il terrore di noi tutti, le urla, il rumore sordo dello scontro con la nave Sibilla che avvenne in acque internazionali violando tutte le leggi del mare senza alcun rispetto per le vite civili”. A distanza di molti anni cerca di ricostruire quelli attimi angoscianti:“Dopo un’ora e mezza di inseguimento – dice Xhavara – è arrivato un elicottero, credo della Zefiro e dieci minuti dopo, è arrivata la nave Sibilla che stava attaccata dietro di noi e che ha colpito la nostra nave. E’ stata una cosa terribile. I sopravvissuti all’affondamento sono stati 34, eravamo partiti in 139. Da quello che io so almeno 52 corpi non sono mai stati trovati”.

La Puglia vive continuamente il problema degli esuli via mare, così come l’intera penisola italiana. Le esigenze in rilievo sono due: il controllo da parte dello Stato costiero e l’emergenza umanitaria, ovvero effettuare i controlli in modo da non ledere i principi umanitari. Il punto è che i migranti, dopo i controlli effettuati sul mare, dovevano essere trasportati a terra. Allora, perché non aspettarli direttamente sulle coste?

Una volta entrati nelle acque nazionali, la mancata accoglienza dei migranti è illegale secondo le disposizioni internazionali, per cui i migranti devono essere portati nei centri di accoglienza più vicini. I richiedenti asilo (secondo la convenzione di Ginevra del 1951) devono poi essere identificati e ascoltati rispettando l’iter delle procedure sul diritto d’asilo.

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