Ciaccia e Grilli, l'economia italiana in mano a privatizzatori e banchieri - Diritto di critica
Nomi pesanti vincono il toto-viceministri. Passera chiama allo Sviluppo Economico il “suo” ex capo di gabinetto delle Poste, Mario Ciaccia. Al Tesoro va il fedele privatizzatore Vittorio Grilli, grande amico di Tremonti. Le prospettive sono buone, ma per chi?
L’uomo di Passera alla sfida più grande. Era il nome più chiacchierato del toto-sottosegretari, dato il palese conflitto d’interessi. Dal 2002 ad oggi Mario ha affiancato Corrado al vertice di Intesa San Paolo, guidando la Banca d’Investimenti per il finanziamento delle grandi opere. La scelta è brillante, dal punto di vista dei mercati. L’uomo è accorto, conosce le meccaniche della pubblica amministrazione e sa incanalare le risorse senza sprechi. E’ il nome giusto per assicurare il balzo tecnologico del paese (dalla Tav, su cui Passera accelera, alle Tlc) mantenendo un budget monastico.
Ma a che costo umano? Ciaccia vede tutto con gli occhi dello sviluppo aziendale, in cui i dipendenti sono pedine sacrificabili. Giovedì la prima prova del fuoco: il tavolo di trattativa tra Fiat, sindacati e il nuovo imprenditore molisano Di Risio sul destino di Termini Imerese. Le tre associazioni dei lavoratori hanno firmato sabato l’accordo sugli incentivi, ma la Fiom annuncia per il 16 lo sciopero generale. La strada è tutta in salita.
Grilli, quando privatizzare è un’arte. Il neo-sottosegretario al Tesoro ha servito al ministero di via XX settembre sotto Padoa Schioppa e sotto Tremonti, coltivando con quest’ultimo un rapporto privilegiato. Ha solide basi scientifiche e un prestigio internazionale notevole. Ma soprattutto, Grilli è un maestro delle privatizzazioni. Dal 1994 al 2000 lavora alla dismissione delle aziende pubbliche, entrando nel consiglio di amministrazione dei parecchi gruppi privati. La sua formazione incontra in pieno la volontà di Monti: Grilli saprà spingere sul modello privatistico dei servizi collettivi, in nome della concorrenza. Ma il referendum del 12 e 13 giugno ha indicato una volontà popolare diversa. I cittadini non hanno votato solo per l’acqua come bene comune, ma per un nuovo sistema di gestione capace di superare l’era delle privatizzazioni e i suoi fallimenti.
Va dato atto a Monti di aver scelto i sottosegretari in regime di sobrietà: sono solo 28, contro i 40 del precedente esecutivo. Tutti hanno alle spalle un’esperienza accademica o pubblica solidissima, sono nomi importanti e rispettati in ambito internazionale. Anche loro seguono la linea “monastica”, con l’autoriduzione della busta paga: Grilli, ad esempio, rinuncia al 70% dello stipendio, mettendosi in aspettativa come direttore generale del Tesoro. Almeno su questo, qualcosa sta cambiando rispetto all’era Berlusconi.
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Che me ne faccio del rigore monastico personale dei sottosegretari, che dura qualche mese, giusto il tempo per stritolare meglio la classe medio-bassa, sbandierando inoltre queste studiate scelte d’immagine?
Che se ne fa il paese di una sinistra innamorata di questo nuovo stile, ma incapace di orientare vere scelte di equità? Incapace a dire la verità. E la verità è che dietro questo stile c’è un liberismo di certo non becero, ma duro e impietoso?
E che dire di tutti i buonpensanti che accolgono con giubilo il reitarato impegno di equità
del governo Monti mentre su tutti i media si sottolinea quanto già prema l’acceleratore sull’età pensionabile dei “piccoli ” dipendenti pubblici, ma guai a parlare di patrimoniale?
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