Così la Merkel vuole commissariare l'Europa - Diritto di critica
di Virgilio Bartolucci
Nel giorno in cui il governo guidato da Mario Monti ottiene la fiducia anche alla Camera ed inizia la sua missione per risollevare le sorti del Paese – con Piazza Affari che resta, sia pure di poco, in positivo e lo spread che cala ancora -, sono le parole di Mario Draghi, alla prima uscita da presidente della Bce, a gelare gli animi: “ci aspettiamo che l’attività economica s’indebolisca in gran parte delle economie avanzate”.
La tensione in Europa sale, assieme alla sensazione che la crisi non sia affatto ad un punto di svolta, ma che, anzi, il futuro debba ancora riservare il peggio. Draghi ribadisce la necessità del taglio dei tassi dettato dalla scarsa crescita della Ue e chiede una governance europea più robusta. Parole in cui riecheggia il solito discorso di una moneta che non ha un governo alle spalle e non può poggiare su una vera banca centrale -come al contrario è accaduto negli USA, dove la Fed e il ministero del Tesoro hanno arginato la crisi del 2008 – e quindi deve ricorrere a palliativi che non consentono di mettere a riparo né l’euro, né i paesi che fanno parte dell’Eurozona. Insomma, la conclusione di Draghi è scontata: la recessione si avvicina e, in attesa di coordinare le diverse politiche per crearne una davvero comune, serve almeno il fondo salva Stati. Da rendere operativo subito. Il numero uno della Bce ha chiesto senza giri di parole che fine abbiano fatto i miliardi che dovevano rimpinguare il fondo. Chiaro il rimando all’opposizione della Bundesbank.
E proprio le contrarietà e i ritardi della Germania sono stati al centro del vertice di ieri, in cui Angela Merkel ha incontrato David Cameron. Un confronto piuttosto acceso su diverse questioni centrali, a cominciare dalla tassazione delle rendite finanziarie, su cui non è stato raggiunto alcun accordo, con Londra decisamente critica verso Berlino. Una freddezza mal celata tra i due premier, che ha raggiunto l’apice quando Cameron ha toccato il nervo scoperto dei tedeschi, ricordando, a fronte del peso preponderante della Germania nell’Europa di oggi, la diversità con gli assetti auspicati dai vincitori al termine della Seconda Guerra Mondiale.
La notizia che, però, esplode come una bomba, è un’altra. Si tratta di un piano, ideato dalla Merkel e descritto come “segreto”, con cui la Germania avrebbe intenzione di rivedere i trattati alla base della Ue. Una modifica degli accordi per permettere ad ogni Paese in crisi di cedere, in cambio delle risorse necessarie a salvarsi, un’abbondante quota decisionale. In pratica, i Paesi che non riescono ad uscire da soli dalla crisi riceverebbero gli aiuti da un nucleo direttivo stretto attorno ad un Fondo monetario, in favore del quale gli Stati europei rinuncerebbero ad una importante quota della propria sovranità nazionale in ambito politico ed economico.
Soldi in cambio di potere. Un commissariamento di fatto per quei governi ritenuti incapaci di far rispettare gli impegni europei. A darne notizia è il giornale britannico filo conservatore Daily Telegraph, che cita un documento del ministero degli Esteri tedesco intitolato, ‘il futuro dell’Unione europea: i necessari miglioramenti di integrazione politica per la creazione di un’unione di stabilità”. La rivelazione, giunta nel giorno del delicato vertice bilaterale anglo-tedesco, va presa con le molle, perché sembra alimentare – non senza interesse da parte della testata inglese – i contrasti tra Cameron e la Merkel sul futuro dell’Europa e della moneta unica.
Tuttavia, è innegabile che se confermata assumerebbe i contorni di una vera e propria rivoluzione. Dalle indiscrezioni, infatti, prende forma una super potenza europea. Una Ue totalmente diversa da quella che conosciamo oggi, un’istituzione che appare sempre più sfilacciata e lenta, assediata dal problema di come sincronizzare i suoi meccanismi pachidermici.
Il Fondo monetario europeo dovrebbe avere il potere di mettere i paesi in crisi in gestione controllata e di gestirne l’economia. Sulla carta si tratta di una sorta di tecnocrazia permanente, pronta a subentrare a Parlamenti e partiti, saltando la contrapposizione sociale che ne blocca l’azione. Il documento prevede due fasi: una prima, rivolta alla stabilità permanente ed una seconda, che getti le fondamenta per raggiungere l’unione politica europea.
Le modifiche ai trattati e la devoluzione di sovranità nazionale all’Europa sarebbero sancite tramite un referendum svolto in ciascuno dei 27 Stati membri, ma il quotidiano inglese lascia aperta l’ipotesi che si possa svolgere la consultazione popolare anche nei soli paesi dell’Eurozona, in modo da rendere più semplice l’approvazione delle modifiche.
L’idea del referendum che rende “il piano segreto di Berlino” di difficile e più lenta applicazione, serve ad evitare di riproporre il deficit democratico venuto a galla nel vecchio continente col diffondersi della crisi e a combattere quella ventata di malcontento anti europeista diretto contro banche e finanza.
Che sia proposta o meno, l’ipotesi di cambiare i trattati della Ue è significativa perchè sintomo di un dietrofront che prende forma. La mancata unità politica europea, infatti, si deve proprio agli Stati nazionali, che anni prima non hanno voluto cedere la quota maggiore della loro sovranità, della loro forza decisionale.
Lasciando per un attimo da parte le priorità dell’immediato presente il discorso di una unione politica europea va sicuramente affrontato. Resta da vedere cosa ne pensano i cittadini, la cui volontà è alla base di tutte le istituzioni rappresentative, che si ritrovano sempre più stretti in un’Europa di cui hanno perso il significato e di cui non comprendono più le azioni.