E Tremonti cerca casa - Diritto di critica
Scaricato dal Pdl per insubordinazione, il ministro dell’Economia uscente, Giulio Tremonti cerca un nuovo partito. Da sempre protetto dalla Lega per le sue idee anti-globalizzazione e per i suoi libri “profetici”, sembrava destinato ad entrare nel Carroccio. Eppure, nonostante tutto, è un personaggio scomodo persino per gli amici di sempre, quelli che lo consideravano l’uomo cardine dell’alleanza tra il Cavaliere e il Senatur.
La Lega gli sbatte la porta in faccia. Solo indiscrezioni di palazzo, ma proprio il partito di Umberto Bossi (con il quale aveva stretto il sodalizio per “salvare” le pensioni) sembra aver accolto con una certa indifferenza (o addirittura con un certo fastidio) la presunta richiesta di entrare a far parte del Carroccio. “Un minuto dopo le dimissioni dal governo ho interrotto ogni tipo di attività politica tanto istituzionale quanto personale”, ha spiegato in una nota il ministro dell’Economia uscente. “Non un atto, non una parola. Riprenderò a parlare ed agire quando ne sarà il tempo. Non ora”. In realtà, secondo indiscrezioni raccolte da Repubblica, Tremonti avrebbe bussato proprio alla porta di via Bellerio. Il Senatur avrebbe chiesto al “cerchio magico” di esprimersi a riguardo. Maroni, Reguzzoni, Cota e Calderoli avrebbero detto di no. E alcuni dirigenti locali ironizzano: “Vuole venire da noi? Bene, presenti domanda per diventare socio ordinario alla sezione della Lega più vicina a casa sua”.
Da antipatico profeta no-global a reietto. Da tanto amato a tanto odiato. Ma in realtà mai Tremonti è stato un personaggio che qualcuno può definire simpatico. Modi bruschi anche se garbati, non ha mai entusiasmato le folle e tanto meno i suoi compagni di coalizione. Con il suo fare altezzoso ha collezionato varie gaffe. Come non dimenticare il “cretino” indirizzato all’inconsapevole Renato Brunetta che presentava le sue riforme in conferenza stampa. Negli ultimi 10 anni è stato preso di mira più volte dai suoi compagni di viaggio. Il primo fu Gianfranco Fini, poi, più recentemente, Silvio Berlusconi. Ma il Cavaliere non ha mai fatto il passo decisivo: pretendere le dimissioni o chiedere al Parlamento la sfiducia. Il timore di una ritorsione della Lega era troppo forte.
Un apolide alle feste leghiste. Leghista in terra berlusconiana, è stato recentemente criticato da Mario Mantovani, coordinatore del Pdl in Lombardia, che a inizio ottobre così parlava all’assemblea regionale del suo partito, “Tremonti va solo alle feste della Lega, vorremmo che qualche volta venisse anche alle nostre iniziative, l´abbiamo sempre invitato”. Ma adesso anche i padani lo mollano. Il momento buono per lasciare la politica? Non sia mai. Bisogna solo capire come e quando tornare sulla piazza. Non senza difficoltà per una figura troppo scomoda come lui. Il perfetto capro espiatorio per il fallimento degli ultimi dieci anni.