Luc Besson apre il Festival del Cinema di Roma. Applausi per "The Lady", il film su San Suu Kyi - Diritto di critica
dalla nostra inviata, Aida Antonelli
Lady orchidea d’acciaio. Forza e grazie insieme, fuse in grandi occhi espressivi e sorriso di una dolcezza disarmante Tutto questo è Aung San Suu Kyi per il regista Luc Besson, che con “The Lady” alza il sipario sul Festival di Roma raccontando la storia incredibile dell’attivista birmana, premio Nobel per la Pace nel 1991.
Il film – sezione Fuori Concorso – presentato stamattina alla stampa, ha strappato applausi convinti: stasera poi, aprirà la kermesse ufficialmente, e il primo tappeto rosso sarà tutto per i protagonisti del film, Michelle Yeoh nei panni di Aung San Suu Kyi, David Thewlis in quelli del marito di lei, Michael Aris. Oltre al regista di Nikita e de Il Quinto Elemento, naturalmente. Che per questo film ha messo da parte gli effetti speciali e la spettacolarità a cui siamo abituati, per inchinarsi di fronte a una piccola donna. Fragile, esile, dalla bellezza armonica delle donne orientali, ma dalla volontà di ferro. Una battaglia non violenta per contrastare la repressione e la feroce dittatura militare, ad opera di una signora elegante. Sguardo fiero e dolce, morbide sete colorate a fasciare il corpo, orchidee tra i capelli raccolti. Una forza capace di spostare montagne, che viene da dentro.
Il suo popolo, il popolo birmano, la chiama “la Signora”, e così Besson tratteggia la sua Lady grazie al corpo minuto ma espressivo di Michelle Yeoh, attingendo alla realtà dei fatti, crudeli e gravissimi della Birmania senza diritti umani, quasi. “Ho studiato il birmano per dare vita al suo personaggio, i suoi movimenti, il suo modo di parlare. Mi sono documentata quanto ho potuto, volevo sapere tutto di lei”, dice in conferenza stampa l’attrice protagonista; “per me – aggiunge – la cosa più importante era quella di far conoscere la passione, il senso del sacrificio, l’amore, di questa donna incredibile”. E l’idea del film è venuta proprio da lei, dopo aver letto la sceneggiatura di Rebecca Frayn: “Mi sono convinto”, racconta il regista, “in un secondo momento, dopo aver letto la sceneggiatura. Ho pianto, mi sono emozionato, ho chiamato la produzione e ho detto di annullare tutti i miei impegni per i successivi 18 mesi”.
Una missione, quasi. Ne vien fuori una pellicola che è più di un biopic, ma un ritratto umano e complesso, a più fasi, intimista, di una delle figure più importanti del nostro tempo. Una protagonista dell’attualità internazionale che è giusto che tutti conoscano, “in un epoca così dura come la nostra, dove i valori del mondo sembrano smarriti. In cosa credere? Cosa insegnare ai nostri figli? Aung San Suu Kyi continua a lottare”, e i toni di Besson sono teneramente militanti, nelle risposte che fornisce ai giornalisti.
“Mi sembra di lavorare per lei, non di fare promozione al mio film”. Tanto da aver creato un sito: www.useyourfreedom.com, dalla celebre frase di Suu: “Usa la tua libertà per promuovere la nostra”.
Di questa donna d’acciao, Luc Besson ha voluto mostrare anche e soprattutto i cedimenti, le difficoltà, la solitudine, il sacrificio della lontananza forzata dai suoi cari, il marito e i due figli, in una prigionia forzata durata decenni. E proprio il rapporto col marito, solido e commovente, è la spina dorsale del film: bravo e intenso David Thelwis, il professor Lupin della saga Harry Potter, fedele fino alla fine a lei e alla lotta del popolo birmano.
La storia di Suu Kyi è raccontata rispettando date e avvenimenti e, pur essendo stato girato in Thailandia, Besson ha trasposto digitalmente immagini girate di nascosto, da turista, in Birmania.
E’ il cinema che si fa missione. Ed è quest’anima, profonda, che piace in The Lady.