Ad Asti "l'Abu Ghraib italiana". Al via il processo per gli agenti imputati - Diritto di critica
Intercettazioni telefoniche, testimonianze dei carcerati e di alcuni agenti penitenziari hanno portato davanti al giudice cinque poliziotti accusati di maltrattamenti e violenze sui detenuti della casa circondale di Asti. All’interno della caserma, i malcapitati, avrebbero subito impulsi selvaggi da parte dei loro carcerieri.
Nell’inchiesta, erano comparsi dodici poliziotti, ma solo per i cinque, il giudice ha disposto il rinvio a giudizio. Oggi, per loro, inizierà il processo con l’accusa di maltrattamenti e violenze. Non stiamo parlando delle carceri più dure di chissà quale parte del mondo, siamo in Italia e l’Avvocato Angelo Ginisi definisce il carcere di Asti come “la piccola Abu Ghraib italiana”.
L’indagine della magistratura astigiana era partita dal racconto di un ex agente carcerario arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti. Poi, l’inchiesta si è allargata grazie alle importanti testimonianze. Durante le indagini, i magistrati hanno rilevato che i carcerieri sottoponevano i carcerati “a un tormentoso e vessatorio regime” carcerario. Secondo l’accusa, i detenuti venivano picchiati sistematicamente in modo brutale, lasciati nudi in pieno inverno in una cella senza finestre e con bagni non agibili. Non avevano cibo, ogni tanto veniva dato loro pane e acqua.
L’inchiesta prosegue anche grazie al coraggioso racconto di due ragazzi detenuti nel 2004 nel carcere di Asti: Andrea Cirino (33 anni) e Claudio Renne (29 anni). Grazie alle loro parole sono partite le indagini minuziose degli inquirenti. “Mi lasciano nudo con una branda e senza materasso (…) faceva molto freddo(…). Io non dormivo mai perché sapevo che quando bevevano o si drogavano poi venivano a picchiarci” racconta Cirino. “Non mi davano quasi mai nulla da mangiare – continua il ragazzo – e quando lo facevano ero sicuro che ci avessero sputato o urinato dentro”.
Cirino racconta di essere stato picchiato più volte dopo una sua reazione. Da quel momento, il detenuto, prendeva tranquillanti per cercare di scrollarsi di dosso la paura e per cercare di dormire. Nonostante tutto, “non appena mi addormentavo, alzano lo spioncino e gridavano: Stai sveglio, bastardo!”. Uscito dal carcere, il trauma gli è rimasto dentro. Impossibile dimenticare. Ora, il ragazzo ha paura di uscire, soffre di attacchi di panico e di rivedere quelle facce in Tribunale, non ne ha proprio voglia.
Le loro dichiarazioni sono confermate da altri agenti penitenziari che avrebbero visto le violenze e raccontato nei minimi particolari l’accaduto alla magistratura. Detenuti e carcerieri insieme, ricordano che qualcuno degli imputati beveva durante il servizio. Oltre all’alcol, secondo la relazione della polizia, probabilmente c’era anche la droga. I ragazzi detenuti venivano torturati in continuazione senza timore. Uno dei picchiatori in una intercettazione dice: “devi avere pure le palle…lo devi picchiare…lo becchi da solo e lo picchi. Io la maggior parte delle volte che ho picchiato li ho picchiati da solo”.
La difesa degli agenti non ci sta e ritiene questa indagine una grande montatura. «Accuse totalmente infondate e per noi calunniose» sostiene veemente l’avvocato Aldo Mirate. “Personalmente non ci credo” dice Donato Capece, segretario del maggiore sindacato di polizia penitenziaria, il Sappe. Per il segretario i due detenuti “avevano aggredito i nostri agenti e per questo sono stati mandati in isolamento. Probabilmente c’è stata una colluttazione”. Poi, Capece precisa che “non vogliamo dare l’impressione di coprire qualcuno. Perciò, se gli agenti hanno usato le maniere forti, è giusto che ne rispondano all’autorità giudiziaria. È facile sparare contro la Croce Rossa e contro la polizia penitenziaria. I fatti vanno prima accertati“.
Grazie alla forza di reagire dei detenuti e la denuncia di alcuni agenti del penitenziario, ci sarà un processo che deciderà la sorte dei cinque imputati.
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Da direttore di carceri in pensione (2005) dopo 40anni di servizio,ci credo. La difesa di Donato Capece è corporativa e priva di qualunque valore.
Inoltre, non è citato il nominativo del direttore pro-tempo, si chiama Domenico Minervini, in servizio oggi ad Aosta. La vicenda è stata fermata da una ‘assistente carcerari’, in realtà una assistente volontaria.-
Egregio sig.Morsello in questo suo intervento ho capito che lei è una persona perbene e titolare di grande onestà intellettuale cosa che oggi scarseggia; perciò vista la sua esperienza della sua carriera lunga circa 8 lustri può dare un consiglio al disgraziato che incappa nelle grinfie di questi aguzzini di come poter agire ai fini di poter rendere da parte sua fine a questa barbarie?
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Che pena sono le istituzioni Italiane, la cosa più brutta è che questi criminali in divisa la fanno quasi sempre franca, per vari cavilli, tipo decorrenza di termini, scarse prove a loro carico. Voglio ricordare a questi signori che sono dei vigliacchi e bastardi, ma il mio appellativo di bastardo non è sinonimo di discriminazione raziale o quantaltro ma solo di chi si sente forte ad agire nel suo branco(protetto dal potere e dall’omertà) scommetto che in altro luogo il più duro di costui da solo non è capace manco di alzare la voce ad un ragazzino ed è una autantica pecora. E’ facile maltrattare e picchiare un uomo un 5 o 6 magari pure ammanettato e impossibilitato di difendersi, Che eroi.
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