L'Italia sempre più povera nel rapporto Caritas - Fondazione Zancan - Diritto di critica
Anno dopo anno, una crisi sempre più pesante. Più insostenibile. E a farne le spese, un numero sempre maggiore di persone: famiglie, lavoratori, giovani. Soprattutto giovani, che pagano con l’inattività forzata una crisi incombente e dolorosa, la cui fine pare ancora troppo lontana. E’ un bollettino di guerra l’undicesimo rapporto Caritas – Fondazione Zancan dal titolo “Poveri di diritti” sulla povertà nel nostro Paese presentato ieri a Roma: nei quattro anni tra il 2007 e il 2010, infatti, si sarebbe registrato un aumento pari all’80,8% nel numero di richieste di aiuto economico rivolte ai centri di ascolto della Caritas diocesane.
I numeri sono pesanti e parlano molto più chiaramente di qualsiasi proclama politico. E se i dati ufficiali – diffusi da Istat, Banca d’Italia ed Eurostat – parlano solo di un lieve incremento nel numero di famiglie in condizioni di povertà nel nostro Paese nell’ultimo anno (2.657 milioni nel 2009, pari al 10,8 % della popolazione, e 2.734 milioni nel 2010, pari all’11%), l’esperienza dei centri diocesani è ben diversa e racconta una realtà molto più pesante e una «sostanziale difformità tra i dati ufficiali relativi alla povertà e la reale condizione del Paese che tutti sperimentano quotidianamente». L’aumento di richieste di aiuto economico e delle persone che si rivolgono ai centri di assistenza (+19,8%) sarebbero infatti, secondo quanto scritto nel rapporto, «segnali di una crescente complessità delle situazioni di povertà, spesso non colti dai dati ufficiali sul tema». Una tesi confermata anche da Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan, secondo cui «c’è una specie di schizofrenia sui dati relativi alla povertà, da come viene raccontata e da come è. Basta guardarsi intorno per vedere l’impoverimento strutturale complessivo».
L’aumento delle persone che si sono rivolte ai centri diocesani della Caritas negli ultimi quattro anni è stato rilevato soprattutto tra gli italiani con un +42,5%, mentre gli stranieri mentre fra gli stranieri si è avuto un aumento del 13,9%: al primo posto fra i problemi segnalati c’è la povertà economica, seguita dai problemi occupazionali, abitativi e familiari. Il rapporto Caritas – Fondazione Zancan mette inoltre in luce come negli ultimi anni il volto della povertà nel nostro Paese sia cambiato, arrivando a coinvolgere «pesantemente l’intero nucleo familiare: tutti si trovano a vivere, in modo diversi, una condizione di stress e di sofferenza, anche se le donne e i giovani pagano il prezzo più alto».
La categoria più colpita dalla crisi è infatti quella dei giovani: il rapporto mostra come solo un terzo di essi riesca a migliorare la propria condizione sociale rispetto a quella dei genitori, mentre più della metà rimangono ancorati al ceto sociale da cui provengono ed una parte è addirittura costretta a scendere di un gradino di benessere. «È un fenomeno – ha spiegato don Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, alla presentazione del rapporto – che riguarda sia le città che le zone rurali e montane e che mai si è verificato prima d’ora nel nostro paese. Esso rischia di intaccare il capitale di fiducia che garantisce nel tempo sviluppo e promozione sociale. Una quota sempre più alta di giovani – aggiunge ancora – scivola, non solo nel Mezzogiorno, verso l’inattività prolungata». Le colpe? In particolare il crollo dell’occupazione negli ultimi anni, che ha negato ai giovani «il diritto al futuro»: crollo pari all’8% nel 2009 e al 5,3% nel 2010. «I giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni ’90 – si legge nel rapporto – matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia di 500 euro. Sono i poveri relativi di oggi e i poveri assoluti di domani».
Tra le misure da mettere in campo ci sarebbero l’incremento del rendimento della spesa sociale e il recupero dei crediti di solidarietà, basati sull’erogazione di finanziamenti a favore di chi si impegna in progetti di sviluppo locale. «Un modo di aumentare il rendimento della spesa sociale – sostengono i curatori del rapporto – è la professionalizzazione dell’aiuto. Ad oggi, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di migliaia di posti di lavoro. Se questo criterio fosse applicato alla spesa per servizi sociali, si potrebbe ipotizzare un risultato occupazionale di circa altrettante migliaia di posti attivabili per lavori di cura e infrastrutture di welfare». Proposta a cui si aggiunge quella relativa ai fondi – circa 17 miliardi di euro – al momento destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare, che «potrebbero essere investiti in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento ben superiore a quello attuale (il trasferimento economico gravato da oneri amministrativi), misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isolamento sociale e disoccupazione».