Nuova Zelanda, la marea nera avvelena la Barriera Corallina - Diritto di critica
La Baia di Plenty, sulla costa orientale della Nuova Zelanda, era un luogo di rara bellezza, paradiso della biodiversità, con spiagge bianche e mare incontaminato. Un quadro idilliaco che oggi non è più reale.
A quasi due settimane dall’incagliamento della nave greca Rena, un’enorme porta-container piegata su se stessa come un gigante ferito, migliaia di uccelli e pesci sono morti avvelenati dal petrolio, il mare è cosparso di chiazze oleose e la sabbia è completamente nera.
Le autorità neozelandesi parlano del peggiore disastro ambientale del Paese; l’economia locale, basata sulla pesca, sta già facendo i conti con la marea nera.
In queste ore continua frenetica l’attività di ripulitura del litorale, da parte di militari e migliaia di volontari civili accorsi dalle vicinanze. Decine sono le spiagge note ai surfisti e al turismo neozelandese e non solo, tra queste Papamoa e Maketu.
Tre rimorchiatori tengono fermo lo scafo, mentre si cerca di pompare petrolio dall’interno per evitare il peggio. Le cattive condizioni del tempo rallentano le operazioni, ogni ora aumenta l’entità del disastro. A preoccupare è soprattutto l’enorme crepa che attraversa la Rena: a detta della Protezione Civile marittima, la struttura è tenuta insieme per miracolo, la spaccatura definitiva è questione di giorni. L’unico dato positivo è che i serbatoi posteriori di carburante sono ancora integri, da lì il petrolio non dovrebbe fuoriuscire.
«Il nostro team ha incontrato una serie di difficoltà tecniche – ha spiegato alla stampa neozelandese il direttore dei soccorsi Bruce Anderson – ma le previsioni meteorologiche delle prossime ore ci fanno ben sperare. Il pompaggio è un’operazione difficile, abbiamo una squadra di sei navi ed ogni soccorritore rischia grosso nell’avvicinarsi al relitto. Purtroppo il greggio continuerà ad uscire, anche perché ben 60 metri della nave sono inabissati in acque profonde fino a 90 metri».
La Rena, lunga 236 metri e pesante 47 mila tonnellate, è incastrata per metà su una porzione di barriera corallina, a sud di Auckland, e ha già riversato oltre 300 tonnellate di greggio in mare, più una novantina di container che si sono aperti dopo l’incidente.
Il quotidiano “NZ Herald” riferisce di «movimenti pericolanti dei container, e suoni inquietanti nella pancia dell’imbarcazione, come di acciaio che struscia contro altro acciaio e si tira fino a strapparsi».
Dopo le “scuse” ufficiali della compagnia marittima proprietaria della nave, la greca Costamare Shipping, si cerca ora di capire come abbia fatto una porta-container ad imbattersi con la Barriera Corallina (ben segnalata) in una giornata di mare calmo e alla velocità, non certo elevata, di 17 nodi.
Il governo neozelandese ha ricostruito la vicenda: all’origine dell’impatto potrebbe esserci stato un errore umano. In ritardo sulla tabella di marcia, il comandante avrebbe accelerato e preso una “scorciatoia”, variando il percorso e scontrandosi con la scogliera al largo della città di Tauranga, nel nord del Paese.
I due ufficiali dell’equipaggio, formato da 17 filippini, sono stati arrestati con l’accusa di «navigare in modo da causare pericoli o rischi non necessari». Rischiano un anno di carcere o una multa di 5700 euro. Le indagini comunque proseguiranno, per individuare le responsabilità di un disastro ambientale di tali proporzioni.
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