Sud-est asiatico: una nuova ‘Primavera di libertà’ all’orizzonte? - Diritto di critica
Come descrivere il sud-est asiatico? Le sue contraddizioni, le etnie e le culture differenti sono a tutti gli effetti fonti di preoccupazione per l’Occidente? Secondo un reportage apparso sul magazine statunitense Time, gli abitanti negli stati asiatici hanno almeno due cose in comune: in primo luogo, tutti sanno cosa vuol dire vivere sotto regimi autoritari. A partire da autocrati brutali (in Birmania recentemente ha lasciato il potere il ‘generale di ferro’ Than Shwe), da uomini che hanno costruito il proprio prestigio colpendo gli oppositori politici (il primo ministro Hun Sen in Cambogia), oppure passando per leader che beneficiano di leggi repressive a favore di un unico partito (il primo ministro malese Najib Razak).
In seconda istanza, la stretta autoritaria sta suscitando nella popolazione un malcontento sempre più esteso. C’è una crescente domanda di responsabilità che i politici sottovalutano o ignorano, a loro rischio e pericolo. I giovani cercano di tenersi in contatto attraverso i social network (Facebook, Twitter), ma parlare di una ‘Primavera del sud-est asiatico’ sembra un’esagerazione. Il primo ministro malese Najib, che si auto-definisce ‘moderato’, è in prima linea nella lotta per la riforma elettorale. Dopo che il suo partito, l’United Malays National Organization, è stato al potere per decenni, ora la tendenza sta cambiando. Nel luglio scorso la polizia aveva respinto con la forza una manifestazione pacifica di circa 50mila membri del ‘Berish 2.0’, un gruppo di pressione per elezioni libere ed eque. I manifestanti, per organizzarsi, avevano utilizzato YouTube, Facebook e Twitter, testimoniando la dura condotta delle forze di polizia.
Il 15 settembre Najib promise di abolire la legge sulla sicurezza interna (che permette agli inquirenti di trattenere i sospetti a tempo indeterminato). Una normativa, di fatto, abusata soprattutto per via dell’inefficacia dell’Ordinanza di Emergenza (inattiva dal 1963). Tra i vari proclami del primo ministro malese, ci sono anche quelli di allentare le restrizioni sui media e rivedere le leggi sulla libertà di riunione. Con uno sguardo alle prossime elezioni, che si terranno nel 2013.
L’annuncio di Najib ha allertato la vicina Singapore, che si è affrettata a difendere a spada tratta la legge sulla sicurezza interna. Tuttavia, questa normativa è stata utilizzata blandamente, per arrestare sospetti terroristi, senza colpire le persone per le proprie opinioni politiche. Nelle elezioni del maggio scorso, i candidati dell’opposizione (che vogliono rottamare la legge) hanno fatto registrare un risultato elettorale interessante, erodendo consensi allo storico Partito d’Azione del Popolo, che governa Singapore da mezzo secolo. Il Dipartimento di Stato americano ritiene ancora insufficienti le misure del governo a favore della democrazia, con ‘forti limitazioni dei diritti ai cittadini e un’opposizione politica fortemente penalizzata’.
In Indonesia, la popolazione marciò in massa per rovesciare la dittatura di Suharto nel 1998. Oggi, l’indice di approvazione della politica del presidente Susilo Bambang Yudhoyono sta precipitando per via di alcuni scandali legati alla corruzione di funzionari statali. A nulla servirà l’annunciato rimpasto di gabinetto. La forte economia indonesiana non allontana le proteste. La stabilità politica richiede funzionamento delle istituzioni, media e società civile libera.
La Thailandia è un esempio calzante di come la crescita e il benessere economico (la Banca Mondiale definisce la sua economia a ‘medio-alto reddito’) non sopperiscano in toto alla mancanza di libertà nella società. La corruzione nel paese è dilagante, la libertà nei media è pressoché inesistente, specie dopo il golpe militare del 2006. Le proteste di piazza che seguirono, furono violente, ma incoraggiarono milioni di cittadini a manifestare il proprio pensiero. Ciò vale doppio per i giovani: circa il 20% sono sud-est asiatici con un età compresa tra i 15 e i 24 anni. Finora c’è stata crescita economica e lavoro, ma ciò non significa che non esistano piaghe come l’alcol, la droga (molto diffusa tra gli adolescenti thailandesi). I governi e le istituzioni conservano strutture gerarchiche e burocratiche che soffocano i giovani e l’innovazione.
Barlumi di cambiamento s’intravedono, comunque. In Birmania, dopo anni di dittatura militare, un governo in carica dal marzo scorso sta cercando di portare a termine delle riforme. In una recente intervista, una delle icone mondiali della democrazia Aung San Suu Kyi, ha escluso che il sud-est asiatico possa dar vita a delle proteste in stile ‘nord-Africa’, anche perché la violenza spaventa. Almeno per ora.
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