Bankitalia, la sfida nordista della Lega - Diritto di critica
Litigano su tutto. Anche quando si tratta di nominare il vertice di un ente indipendente come la Banca d’Italia. “Io preferisco Grilli, perlomeno è milanese”, ha dichiarato Umberto Bossi. Un commento che mette in luce lo spessore politico del leader del Carroccio. Ma al di là di dichiarazioni semi-serie, il vero nodo della questione è la battaglia che Lega e Pdl stanno combattendo per scegliere il governato di Bankitalia.
La politica ovunque. Il governatore dovrebbe essere un personaggio indipendente dalla politica ed estraneo alle beghe di palazzo. Fabrizio Saccomanni e Vittorio Grilli, candidati a sedere la poltrona più importante di Palazzo Koch, sono certamente figure validissime ed autonome. Ma il fatto stesso che sono appoggiati ciascuno da una diversa forza politica rischia di incrinare la loro stessa credibilità. Infatti, lo “sponsor”, poi, esigerà, probabilmente, qualcosa in cambio. Allora perché questa nomina deve riguardare il dibattito politico quando non è il Parlamento che decide ma il Presidente della Repubblica su proposta del capo del governo?
Nord contro sud, est contro ovest. Dalle dichiarazioni di Bossi sembra si tratti solo di un problema geografico. Saccomanni è romano (anche se ha studiato e vissuto nel capoluogo lombardo), mentre Grilli è milanese. Ma forse, e ce lo auguriamo, il problema politico è più serio. Saccomanni, attuale direttore generale della Banca d’Italia, solo pochi giorni fa era considerato il sicuro erede di Mario Draghi. Poi l’impuntamento di Giulio Tremonti che vorrebbe vedere a Palazzo Koch un uomo del suo ministero, Grilli, attuale direttore generale del Tesoro. “Non è una battaglia tra Tremonti e Berlusconi”, spiega Massimo Corsaro del Pdl. Ma allora cos’è?
Né l’uno, né l’altro: arriva Mister X. Così, dopo aver in pratica bruciato i migliori due candidati alla carica, ecco spuntare un terzo nome (e addirittura anche un quarto secondo alcune fonti). Il nome? Un segreto. E per fortuna. Mister X sembrerebbe essere la figura giusta per mettere d’accordo tutti. Staremo a vedere. L’importante, ricorda il premier è “far presto”. È in ballo quell’ultimo brandello di credibilità del nostro Paese di fronte ad una crisi economico-finanziaria nella quale fatichiamo a rimanere a galla.
Anche nel Pd… Litiga la maggioranza, ma anche l’opposizione non scherza. E questa volta è una lotta (semi) interna al Pd. I radicali, eletti nelle liste del Partito democratico e appartenenti all’omonimo gruppo parlamentare ieri non hanno votato la mozione di sfiducia, presentata alla Camera, nei confronti del ministro delle politiche agricole ed ambientali Saverio Romano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il motivo? Un non-voto di protesta per sottolineare la posizione espressa dal Senato contro la proposta radicale di un’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Giuseppe Fioroni del Pd ha chiesto di “rendere liberi” i radicali (in pratica ha proposto la loro espulsione). Tuttavia, la dirigenza del partito, per bocca di Dario Franceschini, parla di un “problema di rapporti tra il partito radicale e il Pd” che dovrà essere risolto da Pierluigi Bersani.
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