Industria della guerra: anche l'innocuo "radar" può diventare un'arma micidiale - Diritto di critica
Prosegue la pubblicazione delle inchieste uscite nel 1980 su Paese Sera e firmate da Graziella De Palo sull’industria della guerra in Italia.
di Graziella De Palo*
23 marzo 1980 – SI CHIAMA soft kill weapon, meglio nota come “arma morbida”. E’ il futuro della guerra. Un futuro allucinante: elettronico, automatizzato, rigidamente programmato (e quasi infallibile), contrapposto alla tradizionale immagine dell'”arma dura”, quella convenzionale. E’ l’utopia, pericolosamente vicina, della guerra senza gli uomini, dove il ruolo del soldato (e l’incognita che questo rappresenta, come si è di recente visto in Vietnam) è ridotto al minimo. La sua base consiste in un sistema di sensori, cioè mezzi di telerivelamento mobili, che permettono di localizzare e distruggere “elettronicamente” le posizioni avversarie, sconvolgendo i piani del nemico. Dunque, non si tratta soltanto dell’introduzione di missili teleguidati sempre più sofisticati, ma di una “rivoluzione” spaventosa nel modo stesso di organizzare la guerra. Un sistema molto duttile, che si serve dell’elettronica civile (per esempio i radar) e può essere usato anche per semplici scopi difensivi e preventivi, ma che all’occorrenza si trasforma in micidiale potenzialità distruttiva. Il tema è all’ordine del giorno. Se n’è parlato alla ventisettesima rassegna sull’elettronica dell’Eur, dove esperti e generali hanno paragonato l'”arma morbida” ad un lottatore di judo, in grado di neutralizzare l’avversario evitando lo scontro frontale e colpendolo nei punti vitali. La competitività USA-Europa, che le multinazionali americane tentano di arginare attraverso una serie di accordi di cooperazione con le industrie del continente, si gioca anche su questo terreno. E gli Stati Uniti, oggi, hanno un notevole vantaggio. E’ di pochi giorni la notizia di una nuova arma anticarro messa a punto dagli americani (sarà operativa nella seconda metà del decennio). Il congegno-chiave del sistema è un rivelatore collegato ad un mini calcolatore elettronico e collocato nello steso proiettile, capace di identificare (mediante radio-onde) la massa metallica di un carro armato e di colpirlo anche al buio, coreggendo da solo la sua traiettoria.
In questo futuro della guerra accuratamente preparato dai tecnici delle industrie occidentali non è secondario il ruolo affidato all’Italia.
Ma è un ruolo doppiamente infelice: da una parte, l’Italia è coinvolta nella produzione e nella diffusione nell’area del Terzo Mondo di questo tipo di arma (nelle sue versioni meno sofisticate), dall’altra la dipendenza della nostra industria elettronica non permette di bilanciare questa seconda funzione con i vantaggi della ricerca e dello sviluppo di tecnologie che potrebbero venire usate anche in campo civile. Le esportazioni italiane, infatti, sono accompagnate da una massiccia “importazione” di tecnologia e capitali esteri. Le partecipazioni straniere alla nostra industria bellica sono concentrate proprio nel settore elettronico, e arrivano prevalentemente dagli Stati Uniti. Perché l’Italia? Il meccanismo è semplice. Ancora una volta i gruppi multinazionali, in questo caso i “giganti” dell’elettronica, decentrano il settore bellico della loro produzione nei paesi che mantengono legislazioni più tolleranti in materia.