L'appello di Human Rights Watch alla Libia: «stop alle esumazioni dalle fosse comuni» - Diritto di critica
Fermare subito le esumazioni dalle fosse comuni dove sono state seppellite le vittime del conflitto, per permettere agli esperti di raccogliere le prove necessarie e identificare correttamente i corpi: questo ha chiesto il 22 settembre Human Rights Watch al Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) libico. Secondo quanto comunicato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), le esumazioni sarebbero condotte dalle autorità locali senza alcun tipo di coordinamento centrale o di assistenza specializzata: la stessa Croce Rossa – che avrebbe nei giorni scorsi aiutato a disseppellire all’incirca 125 corpi da 12 differenti siti – non è tenuta a raccogliere prove per eventuali procedimenti legali e le esumazioni non pianificate potrebbero secondo Human Rights Watch compromettere seriamente la possibilità di identificare i corpi e stabilire le circostanze della morte.
«Capiamo che i libici vogliano trovare i dispersi e dare alle vittime una degna sepoltura, – ha commentato Peter Bouckaert, direttore per le emergenze di Human Rights Watch – ma svuotare le tombe senza la presenza di alcun esperto forense può distruggere le prove e rendere l’identificazione molto difficile. Adesso bisognerebbe concentrare l’attenzione sulla localizzazione e la messa in sicurezza di questi siti e stilare un piano per una loro corretta esumazione».
I dati in mano alla Croce Rossa parlano infatti di numerosissime fosse comuni nella zona circostante Tripoli e in molte altre aree della Libia occidentale, dove sarebbero seppellite le vittime del conflitto contro l’ex rais. Alcune di esse arriverebbero a contenere anche centinaia di corpi di persone morte in diverse circostanze: nella maggior parte dei casi, però, identità e cause di morte sono ancora sconosciute.
Non solo: secondo i dati congiunti della Croce Rossa e di Human Rights Watch, alcuni siti conterrebbero i corpi delle vittime di diverse esecuzioni di massa eseguite dai soldati leali al regime nel corso degli ultimi mesi. Emblematico al riguardo è il caso di al-Qawalish, cittadina della Libia occidentale dove a metà settembre è stata trovata una fossa comune contente i resti dei 34 prigionieri uccisi lo scorso giugno da un gruppo paramilitare vicino a Gheddafi, nel tentativo di sedare le insurrezioni: esecuzione che aveva coinvolto anche alcuni uomini molto anziani. Human Rights Watch ha inoltre raccolto prove e testimonianze su azioni simili anche a Tripoli, Bani Walid e al-Khoms. L’ultima fossa comune in ordine di tempo è stata invece scoperta domenica: un sito nei pressi di Tripoli che conterrebbe i resti – più di 1.270 corpi – di un massacro precedente al conflitto, quello avvenuto nel 1996 nella prigione libica di Abu Salim per mano del regime di Gheddafi e a lungo negato dalle autorità libiche.
L’organizzazione per i diritti umani ha quindi chiesto al CNT di istituire al più presto una commissione specifica che coinvolga esperti legali, medici e di sicurezza interna, in modo che le esumazioni avvengano correttamente e che si proceda anche alla ricerca dei dispersi. L’associazione ha inoltre esortato le Nazioni Unite e i governi a supportare il Consiglio Nazionale di Transizione della Libia, fornendo alla commissione fondi, attrezzature tecniche e se necessario anche esperti forensi, che dovranno lavorare in sinergia con le autorità locali nella raccolta di prove di azioni criminali e nell’identificazione umanitaria dei resti. «In situazioni post-conflitto del passato, come ad esempio in Kosovo o in Iraq – continua Bouckaert – non ci fu sufficiente coordinazione con le autorità locali. L’assistenza internazionale sarà più efficace se sostiene il potenziale locale». Un lavoro di questo tipo secondo Human Rights Watch è urgente e doveroso, in modo da «poter restituire i corpi dei defunti alle famiglie per una degna sepoltura».