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Diritto di critica | December 22, 2024

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Rischio default, e a noi chi ci salva? - Diritto di critica

Scritto per noi da Virgilio Bartolucci*

Silvio Berlusconi lo ritiene un attacco politico ispirato dai quotidiani contro un governo coeso che  sta predisponendo le misure necessarie alla crescita. Per questo, secondo il  premier, Standard & Poor’s, lunedì notte, ha ridotto di un gradino da A+ ad A con outlook negativo il rating italiano. In pratica, l’ennesima imboscata tesa al governo, questa volta ordita dall’estero. Tesi per altro smentita seccamente da S&P.

I conflitti d’interesse interni alle agenzie di rating e il ruolo giocato nelle crisi economiche, sono noti. Ma l’allargarsi del rapporto tra un debito volato oltre  i 1900 miliardi di euro e un Pil che cresce dello 0,7%, è un fatto. Siamo sempre meno credibili e il nostro rischio di insolvenza sul debito sale.

Inoltre, ribadisce S&P, la crescita del paese rimane debole e la situazione politica e la fragilità della coalizione minano le possibilità di affrontare la crisi in modo deciso. Tutto fa presumere altre manovre, tagli e tasse. Ma, come sentiamo ripetere di continuo, in questo modo si affossa la ripresa.

E allora? E allora, da qualche giorno, anche per l’Italia la parola default ha iniziato ad affacciarsi come una cupa possibilità nelle disamine degli esperti d’economia. Già lunedì, nella giornata che ha sancito un nuovo stop alla sesta tranche di aiuti alla Grecia, lo spread tra bot italiani e bund tedeschi è salito oltre i 380 punti. Chi possiede i titoli di Stato, infatti, intravede il fallimento e vende. Si innesca, così, un effetto d’emulazione, che fa salire ancora i tassi di interesse sul nostro debito e allarga la forbice tra i nostri titoli a dieci anni e quelli tedeschi. Quante volte abbiamo ascoltato la favola che – anche se il nostro debito era altissimo e il rapporto al Pil assomigliava terribilmente a quello greco – l’Italia era e restava un paese solido, con i risparmi delle famiglie, la casa di proprietà, le banche in salute (proprio ieri sera declassate da S&P) e pressochè nessun rischio di contagio? Negli ultimi anni potremo stilare una classifica delle bugie, o, se non si vuole pensar male, della mancata comprensione delle dinamiche che regolano un’economia sempre più simile a un discorso metafisico e sempre meno ad una scienza esatta fondata su dati numerici.

Nel frattempo, dopo che per mesi si è parlato solo di salvataggio, improvvisamente,  si è scoperto che di fatto la Grecia è già fallita. I prestiti servono essenzialmente ad allungare i tempi per  salvare il salvabile, attraverso l’austerity e la spoliazione dell’argenteria rimasta: privatizzazioni, licenziamenti, tagli e tasse. Eppure i greci sono i primi a non volere gli aiuti, il partito del ritorno alla dracma cresce di continuo. Dei sacrifici da pagare per una classe politica che vorrebbe chiamarli in causa come corresponsabili del disastro, non ne vogliono sapere.

Atene mette a rischio non solo l’euro, ma la stessa Ue, come ha ribadito la Merkel, che a livello locale sta pagando pesantemente la scelta di soccorrere gli stati europei del sud. Con il precipizio che ha imboccato la Grecia e con le resistenze in merito al tentativo di salvarla, che in Europa e nella stessa Germania si fanno via via più forti, aumenta la paura di un effetto a cascata sull’Irlanda e sui paesi mediterranei. Tra questi l’Italia è il vero campo di battaglia su cui si gioca la pelle della Ue, oltre che della moneta unica.

A differenza di altre economie, quella  italiana non potrà essere salvata dall’esterno, il suo peso è troppo elevato per convincere qualcuno a intraprendere questa strada.

Per comprendere meglio bisogna tenere conto di una cosa: se per salvare la Grecia ci vogliono tra i 100 e i 200 miliardi di euro, con tutte le difficoltà nel concedere i prestiti. Per l’Italia, secondo diversi analisti sarebbero necessari tra i 1500 e i 2000 miliardi di euro. Un’enormità, a fronte della quale, se l’economia non riparte, il default resta l’unica possibilità. Eccezion fatta, per una nuova serie di tagli, tasse, privatizzazioni e, soprattutto, riforme senza precedenti e, in quanto tali, molto difficili da immaginare in un paese immobile, che forse non ha capito il rischio.

*giornalista

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