WikiLeaks alla ricerca di fondi: all'asta i cimeli di Assange - Diritto di critica
- Erica Balduzzi+
- 19 Settembre 2011 Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
Un’asta con i cimeli di Julian Assange, uno dei volti più noti e contestati dell’informazione globale: così WikiLeaks ha deciso di battere cassa per fronteggiare la carenza di fondi. Una decisione, quella di ricorrere a Ebay per la vendita dei memorabilia del suo fondatore, che confermerebbe le gravi difficoltà economiche nelle quali versa attualmente il sito, balzato alla fama mondiale dopo la pubblicazione di migliaia di documenti riservati e dispacci privati della diplomazia statunitense. L’asta è la prima di quattro – come specifica l’organizzazione in un post su Twitter – e i soldi ricavati «verranno utilizzati esclusivamente per sostenere il diritto di WikiLeaks di pubblicare».
E quindi, via alle offerte: gli oggetti in vendita spaziano dal laptop computer usato proprio dal famosissimo hacker australiano per diffondere i segreti del Pentagono (all’asta a partire da 550 mila dollari e per il quale ci vogliono rilanci da 6 mila) alle foto autografate che ritraggono il 40 agli arresti domiciliari (per un prezzo di base di 800 dollari). Tra i cimeli c’è anche un sacchetto del caffè che Julian Assange avrebbe sottratto nella prigione londinese dove è stato rinchiuso dopo l’accusa di violenze sessuali in Svezia, prima del rilascio su cauzione avvenuto nel dicembre 2010: in questo caso, il prezzo di partenza è stato fissato a 315 dollari.
Difficoltà economiche, quelle in cui versa WikiLeaks, che derivano principalmente dall’«embargo illegale» (così è definito su Twitter) al quale l’organizzazione è stata sottoposta a seguito della pubblicazione online di documenti riservati della diplomazia statunitense e dei cablogrammi– in particolare relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq, trasmessi all’associazione dal giovane informatore Bradley Manning attualmente agli arresti negli USA –: su pressione degli Stati Uniti i principali circuiti di carte di credito hanno infatti bloccato a partire dallo scorso 7 dicembre le donazioni dei sostenitori, unica fonte di sostentamento per l’organizzazione no-profit. «Il blocco ha impedito al 90-95% dei donatori di esprimere direttamente il loro supporto alla causa in cui credono – si legge ancora nel post su Twitter – WikiLeaks ha depositato una denuncia formale presso la Commissione Europea e si sta preparando per altre azioni in Danimarca, Stati Uniti, Gran Bretagna e Islanda».
A peggiorare la situazione sarebbe stata poi la decisione dell’organizzazione di pubblicare i documenti senza filtri e senza celare l’identità delle fonti: decisione che è valsa a WikiLeaks le critiche di diverse associazioni per i diritti umani – quali ad esempio Amnesty International o Reporters Without Borders, che infatti ha temporaneamente sospeso il suo sostegno all’organizzazione fondata da Assange – e l’immediata risposta delle quattro testate (Guardian, New York Times, El Pais e Der Spiegel) che un anno fa si erano date manforte per dare un senso al materiale pubblicato dal sito dell’hacker australiano. «Deploriamo la decisione di pubblicare i cablo non editati: così si può mettere a rischio la vita delle fonti – avevano scritto a inizio settembre le quattro testate in un comunicato congiunto – Difendiamo quel che abbiamo fatto in collaborazione con WikiLeaks, ma siamo uniti nel condannare la non necessaria pubblicazione dei dati completi».
L’asta avviata il 17 settembre dovrebbe servire quindi per contrastare almeno in parte le difficoltà economiche dell’organizzazione e permetterle così di continuare a lavorare nonostante l’embargo delle donazioni: «il blocco contro WikiLeaks – conclude il post su Twitter in cui si spiegano le motivazioni dell’asta – viola la libertà individuale di coscienza e il diritto di esercitare le proprie scelte e decidere quale organizzazione supportare con il proprio denaro. Drammaticamente, questo mix mai sperimentato prima di politica e finanza minaccia anche l’esistenza futura di tutte le organizzazioni no-profit».
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