L'inchiesta dell'antimafia di Palermo sui "viaggi" organizzati dal Raìs - Diritto di critica
Ormai sono diventate immagini abituali: barconi carichi, volti segnati dalla salsedine e dalla sete, persone confuse in una massa di disperati quasi senza più identità. E un nome, ripetuto come un’eco: Lampedusa. Li abbiamo chiamati “viaggi della speranza”, quando di speranza era rimasta solo quella di giungere vivi da qualche parte, di toccare nuovamente terra, di non essere divorati dal mare. Su questi viaggi, la direzione distrettuale antimafia di Palermo nei giorni scorsi ha aperto un’inchiesta: il sospetto è infatti che dietro di essi si nasconda una precisa volontà di invasione delle coste italiane da parte di Gheddafi e delle forze a lui ancora fedeli.
Un timore che i fatti paiono confermare a più riprese: non solo lo stesso raìs in precedenza aveva già minacciato di ripagare la partecipazione italiana alla guerra in Libia dando di nuovo il via libera alle ondate migratorie – bloccate quasi completamente dopo il contestato Trattato di Amicizia tra la Libia e l’Italia – ma anche diversi profughi dal paese nordafricano (in particolare tra quelli sbarcati durante l’estate) hanno raccontato di essere stati forzati a salire sui barconi e a prendere il mare, senza neanche sapere dove fossero diretti. «Il sospetto – ha detto al riguardo il procuratore aggiunto Vittorio Teresi – è che i viaggi della speranza siano in realtà l’espressione della politica di Gheddafi di invadere le nostre coste, in risposta all’intervento militare in Libia. Alcuni migranti hanno raccontato che non volevano partire e che sono stati minacciati da un’organizzazione che opera nei porti libici». Lo stesso allarme l’aveva lanciato a fine giugno anche la Caritas, testimoniando come la traversata verso l’Italia fosse spesso finanziata dallo stesso Muhammar Gheddafi.
Adesso a muoversi su questo stesso fronte è anche la direzione antimafia di Palermo: già dieci uomini – tutti libici – sono finiti sotto inchiesta. Tra loro ci sarebbero anche alcuni scafisti, parte di un’organizzazione di militari fedeli a Gheddafi che operavano per attuare il piano di invasione ipotizzato dal raìs e predisponevano viaggi gratis in condizioni disumane, creati ad hoc per raggruppare un’enorme quantità di persone. Su una singola imbarcazione, infatti, potevano essere stipate anche 500 profughi.
L’indagine della Procura – partita soltanto pochi giorni fa a seguito di una visita del procuratore Teresi al Cie di Lampedusa ed alla base di Loran, dove sono accolti i minori e dove il magistrato ha potuto raccogliere testimonianze dirette delle sofferenze dei migranti e delle condizioni in cui sono costretti ora sull’isola – si concentra in particolare su tre sbarchi drammatici avvenuti agli inizi di agosto: nella stiva di una delle imbarcazioni in questione i soccorritori italiani hanno trovato i corpi di 25 persone, morte durante la traversata del Canale di Sicilia, e il sospetto è che siano stati costretti dagli scafisti a mettersi nell’angusto locale. L’ipotesi è ancora al vaglio degli inquirenti.
Intanto sull’isola di Lampedusa continuano gli sbarchi: solo nella giornata di sabato sono giunti all’incirca 500 migranti, prevalentemente tunisini, che si sono andati a sommare ai 568 già presenti nel Cie, nuovamente a rischio collasso. «Finiamola con questo mercato di carne umana. – aveva detto sabato il sindaco delle Pelagie Dino de Rubeis sulla rinnovata emergenza sbarchi – Devono dirci una buona volta cosa intendono fare delle nostre isole. Senza più nascondersi dietro a dei semplici “risolveremo il problema”».