“LasciateCIEntrare”: giornalisti e associazioni contro il “bavaglio” sugli immigrati - Photogallery - Diritto di critica
Una giornata di mobilitazione per accendere i riflettori sui Cara e Cie, oggi OFF LIMITS per l’informazione. Giornalisti, associazioni, sindacati e politici uniti con “LasciateCIEntrare”, un’iniziativa contro il silenzio imposto dalla circolare del Ministero dell’Interno (n.1305) che, dallo scorso aprile, vieta l’ingresso in queste strutture alla stampa e alle associazioni umanitarie. Via libera invece ai singoli parlamentari, che rimangono l’unico tramite per avere notizie su ciò che avviene all’interno di queste realtà. Così, ieri, giornalisti e il resto della società civile (tra i promotori, anche Fnsi, Ordine dei giornalisti, Rete Primo Marzo, Asgi, Articolo 21) hanno aspettato l’uscita dei parlamentari in visita nelle principali strutture di accoglienza.
Modena, Bologna, Torino, Milano, Roma, Trapani, Gradisca, Lampedusa, Cagliari, presidi in tutta Italia coordinati da Cécile Kyenge e Gabriella Guido, del comitato Primo Marzo. “I parlamentari – sottolinea la Guido – sono rimasti molto scossi dalla visita a Roma e si sono impegnati a portare avanti la battaglia insieme a giornalisti e avvocati, per garantire un’idonea assistenza legale”.
Al Cpa (Centro di primo soccorso e accoglienza) di Elmas, in questi giorni, vivono dieci ragazzi algerini, tutti tra i 21 e i 24 anni. Si definiscono “una generazione senza futuro”, ha raccontato Caterina Pes (Pd), dopo la visita al Cpa. Ma, soprattutto, “sono invisibili per lo stato italiano, respinti e non espulsi: cioè bloccati in acque territoriali, ancora prima di arrivare sul nostro territorio. Il centro di Elmas è migliore di altri, “sono assistiti, la struttura è pulita”, ma è come se vivessero in carcere: “essere circondato da filo spinato è la cosa peggiore per un ragazzo di vent’anni”. Sono tutti “diplomati, colti, educati, come potrebbero essere i nostri figli – continua la Pes -. Hanno per giunta ottemperato agli obblighi del loro Stato facendo il servizio militare. Poi sono partiti per lavorare, ma qui in Italia hanno trovato l’ennesima delusione. Vogliono solo la libertà, vorrebbero il permesso per poter andare in Francia. Si aspettano qualcosa da noi: siete uno stato di diritto, siamo venuti qui per questo. Quando cerchiamo di spiegargli che qui la clandestinità è considerata un reato, ci chiedono: perché non chiamate le nostre ambasciate? Vi dicono loro che non siamo terroristi”.
Realtà, su cui all’improvviso è calato il silenzio: “Un divieto grave – spiega Franco Siddi, segretario generale FNSI e uno dei promotori dell’iniziativa – che crea dubbi inquietanti: perché nascondere queste realtà? Perché non dobbiamo raccontare come vivono gli immigrati arrivati nel nostro paese, talvolta in cerca di lavoro, altre volte per fuggire da situazioni di pericolo e ritorsioni? Siamo convinti che sia una questione di civiltà rimuovere questo limite”. Inoltre, il provvedimento del Ministero, votato dal Parlamento in merito alla “Direttiva rimpatri”, prolunga il tempo di trattenimento nei Cie dai 6 ai 18 mesi, dando “l’idea di carceri sostitutivi, in contrasto con la cultura dell’ospitalità, tipica dei paesi democratici”, aggiunge Siddi. Così, la richiesta è la chiusura dei Cie, “che non affrontano il problema socio-culturale di un fenomeno migratorio in crescita – sottolinea Cécile Kyenge, portavoce del comitato Primo Marzo -. Lo spazio angusto in cui sono costretti a vivere gli “ospiti”, nonostante la buona volontà degli operatori, non aiuta le relazioni sociali e aumenta il disagio e la diffidenza nei confronti del paese di accoglienza”.
(ha collaborato Alessandro Proietti)
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