Immigrati, la salute peggiora perché mangiano “all’italiana” - Diritto di critica
Arrivano in Italia in buona salute, ma poi iniziano a soffrire delle nostre patologie, a causa del cambiamento delle abitudini alimentari. Tra i disturbi maggiori, diabete, disturbi gastrointestinali, ipertensione, che variano a seconda delle etnie: il diabete colpisce soprattutto i romeni e i senegalesi (a causa del consumo eccessivo di pasta e pane), mentre gli ucraini, soprattutto le donne, sono ipertesi. È il risultato della ricerca “sulle abitudini alimentari della popolazione immigrata della provincia di Cagliari”, realizzata, per la prima volta in Sardegna, dal Servizio promozione della salute della Asl 8 di Cagliari, in collaborazione con l’Università di Cagliari (Anna Maria Carcassi) e con la Provincia.
Uno studio (sulla scia di quello analogo realizzato dall’INMP di Roma), che analizza come il cambiamento delle abitudini alimentari, dei ritmi, dello stile di vita, sia un fondamentale indicatore dello stato di salute e dell’integrazione sociale degli immigrati. Obiettivo, promuovere “un intervento sanitario e sociale che possa garantire risposte differenziate, in base alle singole specificità – spiega Silvana Tilocca, direttore del Servizio promozione salute Asl 8 -. Per questo proseguiremo le indagini, scomponendo lo studio per etnie, per poi organizzare incontri di informazione con i rappresentanti delle diverse comunità”.
La ricerca durata 5 mesi ha preso in esame, attraverso un questionario, 128 immigrati (di cui 58 donne), provenienti da 28 paesi diversi (43% dall’Africa, 20% Medio Oriente, 16% Europa Orientale, 10% America Latina, 8,6% Estremo Oriente); di questi il 31% ambulanti, 12,5% collaboratrici domestiche e badanti, 12% impiegati nei settori commercio e ristorazione, 10% inoccupati, 8% casalinghe. “Tra i disturbi più diffusi – spiega la Tilocca – ci sono quelli legati al cambiamento delle abitudini alimentari (i problemi di ordine gastro-intestinale costituiscono il 35-40% delle patologie presenti), quelli legati alle condizioni di vita e di lavoro svantaggiate: dai disturbi respiratori e polmonari a quelli dell’ordine osteoarticolare, alle patologie della sfera genitale, tipicamente femminili”. Fondamentale, il tempo di permanenza in Italia, “perché strettamente correlato con la salute – aggiunge la Tilocca -: ci sono disturbi che compaiono già dal primo anno, come quelli di ordine gastroenterico e respiratorio e le patologie che compaiono nell’arco di anni, come diabete, disturbi cardiovascolari e tumorali”.
Inoltre, la ricerca analizza le abitudini e le esigenze alimentari degli immigrati: tra gli errori principali, il consumo eccessivo di pasta, coca-cola e bibite gassate e caffè che determina tachicardia e problemi gastrici; i troppi dolci, che provocano la presenza di carie dentali e altre patologie dell’apparato orale, soprattutto nei bambini. Mentre risentono della carenza di carni, spezie e alcune verdure locali, spesso sconosciute in Italia.
Nelle diete, molti cereali e poca frutta: il 75% assume cereali o derivati una o più volte al giorno, mentre il 27% consuma la frutta meno di una volta al mese; tra le proteine, quella più usata è la carne; il 63% consuma latte una o più volte al giorno, il 20% non ha mai consumato yogurt e formaggi. Il tentativo di ricostruire la loro cultura è “ostacolato da una serie di difficoltà – continua la Tilocca -, iniziando dal reperimento del cibo sul mercato; e poi ci sono le condizioni economiche, spesso svantaggiate”. E soprattutto, la scarsa informazione: “sarebbe necessaria una rieducazione alimentare: non possono solo assimilare gli aspetti negativi del nostro stile di vita, ma dobbiamo consentirgli di mantenere le loro abitudini, in modo tale che anche noi possiamo acquisirne gli aspetti positivi: l’integrazione passa anche attraverso lo scambio culturale”. Senza dimenticare che questo studio “è utile anche per noi, perché, attraverso loro, riflettiamo sui problemi connessi al nostro stile di vita”.
Non solo. La prospettiva si allarga a tutto il Mediterraneo. “ Vorremmo fare una ricerca più ampia sull’alimentazione nel Mediterraneo, in paesi come Tunisia e Marocco, in comparazione con Cagliari, che è un punto di riferimento importante, per poi valutare questi aspetti in prospettiva sociale ed economica. Essendo, infatti, noi sardi così vicini all’Africa, abbiamo ulteriori affinità: perché non valorizzarle?”.