Immigrati di seconda generazione, con il progetto Talea “il merito mette radici” - Diritto di critica
Valorizzare l’immigrazione qualificata, potenziare la propria autostima e consapevolezza, proporsi nel mondo del lavoro, imparare a difendersi dagli stereotipi. Sono i punti cardine del progetto Talea, ideato dalla Fondazione Etholand e giunto quest’anno alla seconda edizione. Obiettivo, la formazione di immigrati qualificati, costretti spesso a svolgere lavori umili, che non tengono conto dei titoli e delle esperienze precedenti. Inoltre, per dare opportunità di lavoro, ogni anno si organizzano veri e propri “job meeting”: il 14 ottobre, al Circolo della Stampa di Milano, ci sarà il “Talent Welcome Day”, in cui una cinquantina di aziende organizzeranno colloqui per i giovani stranieri, in vista di un eventuale inserimento professionale.
Il nome stesso è tutto un programma: “Talea – spiega Alicia Lopes Araujo, capoverdiana, master in Sviluppo economico sul terziario avanzato, mediatrice interculturale, collaboratrice di un settimanale portoghese e scelta dai partecipanti alla prima edizione di Talea come loro team leader – è ispirato a quella parte della pianta che viene estirpata e ripiantata altrove”. Una metafora significativa: “Saremmo noi le piante che si staccano dal loro paese d’origine per dare frutti altrove”. Per questo, occorre rafforzare la sicurezza in se stessi: “Dietro il corso formativo che organizziamo tutti gli anni a giugno (quest’anno, a Camaldoli, in provincia di Arezzo), c’è la filosofia di potenziare l’autostima e le proprie capacità. Oltre alla didattica frontale, i corsi prevedono lo sviluppo di dinamiche di gruppo e la valorizzazione dei propri punti di forza: proprio la diversità può costituire un valore aggiunto per le aziende. Si cerca poi di superare i propri punti deboli: si lavora sulle emozioni, sul cosiddetto “self marketing”, cioè su come promuovere se stessi dal punto di vista professionale: dalla scrittura del curriculum e della lettera motivazionale ai consigli per affrontare un colloquio di lavoro”. Il corso si rivolge a tutti gli immigrati che abbiano la laurea, master o dottorati: dalle seconde generazioni che hanno studiato in Italia agli adulti che arrivano qui con titoli che non vengono riconosciuti. Quest’anno, “hanno partecipato una quindicina di ragazzi neolaureati, cresciuti in Italia, con un vissuto più sereno rispetto ai partecipanti dell’anno scorso”. Si tratta di un’esperienza importante, “ci si ritrova tra immigrati che si sentono cittadini italiani ma che devono combattere contro barriere e stereotipi, che spesso vanificano tutti i loro sacrifici”.
L’appuntamento, poi, è a Milano, il prossimo ottobre: “La giornata sarà articolata come l’anno scorso – spiega Alicia -: convegno la mattina e nel pomeriggio colloquio con le aziende, tra cui la Bosch, UBIbanca, Altran Italia, NeoMobile, Valtur, Extrabanca (la prima banca degli immigrati in Italia). Obiettivo, non tanto assicurare posti di lavoro (non siamo un ufficio di collocamento, spiega), ma creare quelle opportunità che il più delle volte vengono negate ai ragazzi immigrati: “Per loro la ricerca del lavoro è più faticosa, a differenza degli italiani che possono usufruire di una rete sociale efficace”. Già, perché, purtroppo, nel mondo del lavoro ci sono ancora molti pregiudizi e molti candidati vengono esclusi dalle selezioni, per il solo fatto di avere un cognome straniero.“Una volta – ricorda Alicia – il direttore dell’area formazione di un’agenzia, durante il colloquio mi chiese se fossi in grado di leggere e comprendere un testo italiano e se mi sentissi “totalmente italiana”. Poi stranamente, si convinse e mi chiamò per propormi un posto, ma io rinunciai, perché non potevo andare a lavorare con una persona a cui rimanesse il dubbio se fossi capace o meno, solo perché straniera”. E, in Italia, va peggio che altrove: “In altri paesi si è più abituati a vedere stranieri che lavorano in tutti i settori, mentre qui si ragiona ancora per stereotipi; non si tratta di un vero razzismo ma di una questione di abitudine, bisognerebbe cambiare la mentalità, far capire che l’immigrazione non è una questione emergenziale, ma che molti immigrati vogliono restare in Italia e investire su questo paese”.