Nigeria, continuano gli attentati tra guerriglia, radicalismo islamico e interessi petroliferi - Diritto di critica
Continua l’instabilità in Nigeria, a oltre due mesi dalle presidenziali. La guerriglia locale e il radicalismo islamico aggravano una situazione sociale difficile, dove si intrecciano povertà e disoccupazione, soprattutto tra i giovani. E i politici locali approfittano di questa situazione, armando i ragazzi, per perseguire i propri interessi.
Ieri, in un bar a Maiduguri, c’è stata l’ennesima esplosione di una bomba, che ha causato una decina di morti. Negli ultimi mesi, sono aumentati gli attentati rivendicati dalla setta islamica Boko Haram: lo scorso giugno è scoppiata una bomba ad Abuja, quartier generale della polizia nigeriana; tre giorni dopo, la polizia ha arrestato 58 esponenti della setta. Il 26 giugno, a Maiduguri, 25 persone sono state uccise in un attacco in un pub; altri attentati avvenuti dopo l’insediamento dell’ultimo presidente Goodluck Johathan, lo scorso maggio, sono stati rivendicati da membri della setta. Sono nell’ultimo anno, decine di politici, poliziotti, rappresentanti delle chiese cristiane e di altre sette musulmane sono state uccisi.
“Solo il dialogo potrebbe fermare i ribelli del nord della Nigeria”, spiega Lai Mohammed, del partito di opposizione dell’Action Congress of Nigeria, “il presidente Jonathan dovrebbe guidare personalmente il dialogo, come aveva fatto il suo predecessore Umaru Yar’Adua, che nel 2009 aveva proposto un’amnistia per i ribelli del Delta del Niger”.
Che tipo di lotta conduce questa setta? Obiettivo, eliminare l’attuale governo, imbevuto di idee troppo occidentali, e imporre la legge islamica. Tuttavia, secondo alcuni analisti, le crisi all’interno delle comunità del nord Nigeria sono dovute non solo a motivi religiosi, ma soprattutto alla frustrazione della popolazione: più del 70% dei circa 140 milioni di nigeriani vive con meno di un dollaro al giorno, il tasso di analfabetismo è altissimo e la disoccupazione colpisce soprattutto i giovani. E a sfruttare questa situazione sono soprattutto i politici locali: “Boko Haram è un prodotto delle distorsioni della politica – spiega Lai Mohammed -: si dice che un ex governatore si sia servito della setta per sostenere la sua carriera politica; è successo lo stesso con alcuni governatori del Delta del Niger, che avrebbero favorito la creazione di milizie armando i ragazzi per finalità politiche”. È così che inizia il viaggio dei giovani nella criminalità, dai rapimenti fino alla setta di Boko Haram: sono proprio i politici a reclutarli, per minacciare i loro oppositori; poi, una volta eletti, li abbandonano a se stessi, senza pensare alle conseguenze per la stabilità del paese. Ecco perché diversi analisti nigeriani sono convinti che l’ideologia di Boko Haram sia estranea all’Islam e che l’istruzione dei giovani sia la vera soluzione alle crisi settarie e alla criminalità.
La minaccia del radicalismo islamico si intreccia con la questione petrolifera: la zona del Delta del Niger, che custodisce il 90% del petrolio nazionale, è storicamente ostaggio di povertà e degrado ambientale. Qui, le promesse mancate delle multinazionali (tra cui anche l’Eni) sono state denunciate più volte dai rappresentanti delle cosiddette “host communities”, le comunità che abitano il territorio dove si concentrano le installazioni petrolifere. Secondo gli attivisti, oltre 450 dei 480 megawatt di energia prodotti dall’impianto sono immessi nella rete elettrica nazionale e trasferiti a Lagos e in altre regioni: alle comunità locali non resta nulla. Per questo, tra le promesse del nuovo presidente c’è la cosiddetta “rivoluzione del gas”, da 10 miliardi di dollari, che punterebbe sulla produzione di elettricità a partire dalla lavorazione del gas bruciato nell’atmosfera, durante la rivoluzione del petrolio. Rivoluzione che riguarderebbe anche Agip Nigeria, firmataria di un’intesa per la costruzione di un impianto a nord di Port Harcourt, la principale città del Delta.
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