Omicidio Rostagno, si apre il "processo alla mafia" - Diritto di critica
Scritto per noi da Antonella Iacobino*
“Questo è un grande regalo”. Sono le parole con cui Maddalena Rostagno apre quasi tutte le sue interviste. Il “regalo”, per quanto paradossale possa sembrare agli occhi di chi crede ancora nella Giustizia, è il processo che si è aperto per la morte di Mauro Rostagno. Ci sono voluti 22 anni, più di due decenni di depistaggi e affossamenti, per rialzare il sipario su una vicenda tanto importante quanto dimenticata. Un omicidio ancora relegato ai margini dell’opinione pubblica, su cui si è cercato di far luce il 19 giugno scorso a Roma, presso l’Alpheus, dove sono intervenuti gli amici, i colleghi e i compagni di Mauro.
Racconti diversi, talora morbidi e legati anche alla sfera affettiva, come quelli di Guja Sambonet, che con Rostagno condivise l’esperienza della lotta alla tossicodipendenza – impegno che lo porrà in conflitto ulteriore con gli interessi mafiosi e ne produrrà o faciliterà la condanna a morte – o di Majid Valcarenghi che, “ripercorrendo episodi di tanti momenti diversi delle nostre vite parallele”, ha fatto confluire il proprio intervento nel leitmotiv dell’incontro, la denuncia dei meccanismi di quella macchina del fango alimentata da occultamenti e calunnie, utili alla dissimulazione della verità, strumento più volte utilizzato per annullare l’opera di chi, come Rostagno, aveva scelto di combattere la mafia e le sue infiltrazioni nella vita civile.
Francesco Forgione, presidente della Commissione Parlamentare Antimafia dal 2006 al 2008, ha invece ripercorso la fitta trama della collusione tra cosche, politica e massoneria, riconoscendone il baricentro nelle attività della famiglia D’Alì, divisa tra finanza e criminalità organizzata, alle cui dipendenze aveva il latitante Francesco Messina Denaro. E sulle ingerenze mafiose è tornato anche Marco Boato che ha ricordato come si sia cercato fin dall’inizio delle indagini di perseguire altre vie, attraverso quei “ritardi investigativi, anomalie, false piste e depistaggi” di cui parla il procuratore Ingroia. Proprio Ingroia diciannove anni dopo l’omicidio ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di Vincenzo Virga, capomafia di Trapani, come mandante dell’omicidio, e di Vito Mazzara, suo killer di fiducia, come esecutore.
E la mafia in questa vicenda gioca un ruolo fondamentale nonostante, come afferma Maddalena, durante le 13 udienze del processo in corso il suo nome sia stato pronunciato ben poco. Quasi a voler sottolineare che la strada per la verità è ancora lunga e in salita perché di certo non mancheranno ingerenze atte a ostacolare la verità e a togliere ogni macchia sulla storia personale e pubblica di “un uomo vestito di bianco”.
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