Cile, Corte d'Appello ferma ecomostro dell'Enel - Diritto di critica
Cinque centrali idroelettriche e migliaia di ettari di terra incontaminata distrutti. Doveva succedere in Cile, per mano dell’italianissima Enel, pronta ad investire 3 miliardi di dollari in un progetto odiato dal 61% dei cileni. La Corte d’Appello di Porto Montt ha però accolto il ricorso degli ambientalisti e ordinato lo stop dei lavori. Pesante smacco della multinazionale nostrana, ma la partita è ancora aperta.
Il progetto risale al 2006, quando le società energetiche Colbùn e Endesa Chile danno vita alla corporation HidroAysén: obiettivo, costruire un sistema di 5 dighe in Patagonia, capaci di produrre un terzo del fabbisogno energetico del Paese. Le dighe chiuderanno i fiumi Pascua e Baker in diversi punti, allagando oltre 6mila ettari di territorio incontaminato: in particolare, le acque invaderanno parte del Parco Nazionale Laguna San Rafael e distruggeranno circa 2000 ettari di foresta vergine. Per realizzare quest’opera imponente e di forte impatto ambientale, i costrutturi parlano di 3,2 miliardi di dollari, ma si tratterà più probabilmente di 7 miliardi, considerando i 2mila chilometri di elettrodotto da costruire in zona altamente sismica, vulcanica e a rischio valanghe.
Il progetto, però, non è sudamericano, ma italiano. Enel è prima azionista di HydroAysèn, avendo acquistato nel 2009 la spagnola Endesa. La compagnia nostrana, seconda in Europa per la produzione di energia elettrica, punta molto sul progetto, da cui spera di ricavare abbastanza da compensare la perdita delle centrali nucleari, negate da appena due settimane dal referendum popolare. Enel era riuscita ad ottenere l’autorizzazione a procedere da parte della Commissione di Valutazione dell’Impatto ambientale, grazie alle pressioni del presidente Sebastian Pinera: il presidente si gioca su HydroAysèn la sua rielezione, dopo aver promesso un balzo del 6% del Pil in 4 anni in campagna elettorale.
Contro gli interessi economici della multinazionale italiana e di Pinera si sono schierati gli indios mapuches – da anni perseguitati dai governi di Lima perchè scomodi abitanti della sfruttabilissima Patagonia – e gli ambientalisti: anche il partito d’opposizione, il PPD, ha preso le difese del territorio e degli indigeni, grazie soprattutto all’impegno del presidente del Senato Guido Girardi. Ancora a maggio, però, sembrava inevitabile la vittoria dei costruttori, dopo i sì della Commissione Ambientale e del Presidente Pinera.
A fermare tutto è intervenuta la Corte d’Appello di Porto Montt, capitale della regione meridionale del Cile. Il tribunale ha accolto tre ricorsi degli ambientalisti, ordinando il blocco delle operazioni di costruzione. Testualmente, i giudici ritengono che “il progetto costituisce possibile minaccia alla vita umana e alla vita animale, rischiando anche di provocare danni ingenti al Parco Nazionale”: per questi motivi, “la decisione della Commissione Ambientale è incompleta e da rivedere”. Le ruspe non potranno iniziare i lavori fino alla risoluzione del contenzioso. Mario Galindo, l’avvocato che difende gli interessi di HydroAysèn, non si scompone: ” è il normale iter, la decisione dei giudici si limita a chiedere nuove analisi ambientali per consentire il progetto, che in ogni caso verrà portato a termine”.
In Cile in molti traggono un sospiro di sollievo: secondo un sondaggio Ipsos, infatti, il 61% della popolazione disapprova le dighe e chiede maggior rispetto per la propria Terra.
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Meno male!
Ogni tanto qualcuno “c’azzeccha”!
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