La Carta dell'acqua, i propositi dimenticati dalla politica italiana - Diritto di critica
Scritto per noi da Cecilia Egle Cazzato
“L’acqua non ha frontiere, essa è una risorsa comune che necessita di una cooperazione internazionale”. Così termina la poco conosciuta Carta dell’Acqua.
Scritta e promulgata il 6 maggio del 1968 a Strasburgo dal Consiglio d’Europa, è costituita di undici punti che realizzano un prontuario di buoni costumi per tutti i Paesi della Comunità europea. La necessità di affermare il valore dell’acqua come bene pubblico, da rispettare, da accrescere e da inventariare, non nasce da un disastro ambientale ma da un occhio attento e clinico che, nel lontano ’60, prese atto della vulnerabilità e della non inesauribilità dei bacini idrici. Come cerca di affermare la stessa Carta, infatti, questi sono necessari per la vita e per le attività dell’uomo e come tali devono essere riconosciuti da tutti, economizzandone gli impieghi e trattandoli con cura.
Accorgimenti – quelli messi nero su bianco nel 1968 – sempre più attuali. E’ infatti ricorrente e sempre più necessario l’utilizzo di acque non di profondità (presenti nel sottosuolo, le falde) ma di superficie – quindi più inquinate – che richiedono trattamenti con metodi chimici e fisici in base agli impieghi a cui sono destinate: necessità domestiche, agricole, industriali, per la pesca, per le attività ricreative e per l’alimentazione. Proprio riguardo quest’ultima funzione, l’acqua può essere “potabile”, se corretta e trattata con la clorazione, o “minerale”, se imbottigliata alla fonte, cercando di evitare, in entrambi i casi, l’utilizzo di bacini e sorgenti vicini a zone di scarico e molto inquinate.
Pur avendo sottoscritto il nostro Paese anche il terzo articolo della Carta – “alterare la qualità dell’acqua significa nuocere alla vita dell’uomo e degli altri esseri viventi che da essa dipendono “ – i disastri ambientali non sono mancati. Caso eclatante è stata la discarica abusiva di Bussi, la più grande d Europa che ha compromesso i parchi nazionali d’Abruzzo, come Gran Sasso e Majella, e inquinato in maniera quasi irreversibile le falde acquifere. La scoperta, avvenuta nel 2007, mise alla luce 500mila tonnellate di rifiuti tossici sepolti nella valle del fiume Pescara, luogo strategico per la fabbricazione di armi chimiche durante la Grande Guerra e successivamente sfruttato come sito industriale.
La carta, approvata e pubblicizzata all’epoca dallo Stato italiano, è caduta nel dimenticatoio con il passare degli anni e dei governi che si sono susseguiti. A ben guardare, infatti, l’acqua – argomento accattivante per politiche di ogni colore – è stata sfruttata senza un metodo basato su un meticoloso inventario delle falde (articolo 7 della Carta), così come è mancato un rilevamento e una valutazione quantitativa delle risorse idriche.
“La gestione delle risorse idriche – conclude la carta usando timidamente il condizionale – dovrebbe essere inquadrata nel bilancio naturale piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche”. Ad oggi, invece, sembra divenuta un affaire politico piuttosto che una risorsa per tutti.
LA CARTA DELL’ACQUA:
1) Non c’è vita senza acqua. L’acqua è un bene prezioso, indispensabile, a tutte le attività umane.
2) Le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili. E’ indispensabile preservarle, controllarle e, se possibile, accrescerle.
3) Alterare la qualità dell’acqua significa nuocere alla vita dell’uomo e degli altri esseri viventi che da lui dipendono.
4) La qualità dell’acqua deve essere tale da soddisfare tutte le esigenze delle utilizzazioni previste, ma deve sopratutto soddisfare le esigenze della salute pubblica.
5) Quando l’acqua, dopo essere stata utilizzata, è restituita, al suo ambiente naturale, essa non deve compromettere i possibili usi, tanto pubblici che privati che in questo ambiente potranno essere fatti.
6) La conservazione di una copertura vegetale appropriata, di preferenza forestale, è essenziale per la conservazione delle risorse idriche.
7) Le risorse idriche devono formare oggetto di inventario.
8 ) La buona gestione dell’acqua deve formare oggetto di un piano stabilito dalle autorità competenti.
9) La salvaguardia dell’acqua implica uno sforzo importante di ricerca scientifica, di formazione di specialisti e di informazione pubblica.
10) L’acqua è un patrimonio comune, il cui valore deve essere riconosciuto da tutti.
11) La gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bacino naturale piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche.
12) L’acqua non ha frontiere. Essa ha una risorsa comune, che necessita di una cooperazione internazionale.