Conti pubblici, l'Italia arenata tra tasse e debiti - Diritto di critica
Il debito pubblico cresce, le tasse anche. Lo Stato riesce a puntellare le uscite finanziarie con il balzello indiretto del gioco d’azzardo, dal Lotto alle scommesse: ma con una crescita all’1,1%, le prospettive sono nere. Trasferire le spese pubbliche grosse dallo Stato agli enti locali (ovvero la cura Tremonti) sposta solo un problema irrisolto, che Bankitalia quantifica in 31.500 euro di debiti sulla testa di ogni italiano.
1.900 miliardi di euro. E’ il nuovo record toccato ad aprile da un debito pubblico abnorme, cresciuto del 2,5% dal 1 gennaio. Significa che ogni italiano si porta sul groppone, invisibile ma pesante, un debito “personale” da 31.500 euro, a cui non sfuggono bambini e anziani. Un macigno che fa spavento, se pensiamo alle prospettive di crescita del Pil per il 2011: appena l’1,1%, forse meno.
I dati ministeriali fotografano un Paese insabbiato. Gli enti locali pagano il federalismo fiscale di Tremonti, accollandosi gran parte delle spese di pertinenza statale: ne risultano debiti per 114 miliardi di euro, con una crescita del 2,7% dall’inizio dell’anno. A spendere di più è il centro-nord, che da solo fattura 32,3 miliardi di pendenze. Ci si potrebbe consolare pensando ad una riduzione della spesa statale, proprio grazie alla passione tremontiana per i “conti in ordine”: ma la realtà è che i ministeri continuano a spendere tanto, a partire dalla Difesa (che macina fonti con 26 “operazioni internazionali” in corso) per arrivare alle Risorse Agricole, che con le multe pagate per le quote latte potrebbe risanare quasi l’1% del debito ogni anno. E’ poi notizia dell’altro giorno che i compensi dei manager e alti funzionari pubblici è cresciuto di oltre il 20%: gli stipendi d’oro diventano di platino, e poi si accusa il settore pubblico di inefficienza.
Le tasse sono un discorso a parte. Il gettito è aumentato, secondo i dati ministeriali, del 5,7%. Una parte è legata ad una tassa “una-tantum” sui contratti di leasing immobiliare (banalmente, l’affitto di immobili alle aziende), che da sola ha portato quasi 1.300 milioni di euro. Ma non si ripeterà. Cresce l’Irpef, l’imposta sulle persone fisiche basata sul reddito. Ma appare evidente lo squilibrio tra ricchi e poveri: i lavoratori dipendenti pagano il 3,2% in più di Irpef, mentre il dato medio è 4,1%. Qualcuno ha visto crescere il proprio reddito di almeno il doppio dei salariati.
L’altra tassa su cui si puntella il Governo è più sottile e si chiama gioco d’azzardo. La gente scommette di più, sperando di fare il colpaccio, e paga più tasse allo Stato: dall’anno scorso l’erario ha incassato il 20% in più in questo modo, spremendo denaro dove ce n’è meno (difficile che i bighelloni delle sale Snai o dei bar siano dei miliardari). E’ una tassa a tutti gli effetti, invisibile perchè non la si vuol vedere, ma pesantissima.
E la lotta all’evasione fiscale? Va bene: in 4 mesi sono stati recuperati 2 miliardi di euro, un quarto in più rispetto al 2010. Bisogna ringraziare gli agenti del fisco, che hanno finalmente cominciato a spulciare i conti dei commercianti (sull’Iva, prima imposta evasa d’Italia) e delle società (sull’Ires, tassa sui redditi societari). Come dire, ci accorgiamo solo ora che gli evasori erano i più ricchi – magari dopo aver fatto leggi che aiutano proprio questi soggetti a farla franca. Dove vuole arrivare un Paese così?
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