Italians - In Australia alla conquista del rispetto - Diritto di critica
di Emanuela De Marchi e Veronica Fermani
Era un viaggio lungo, difficile e costoso. La partenza era prevista una sola volta al mese; e ci si imbarcava su navi che andavano letteralmente dall’altra parte del mondo. L’Australia era una meta ambita per gli italiani già dalla seconda metà dell’Ottocento. Una terra lontana e per questo, avvolta da un fascino irresistibile, oggetto di speranza per un futuro migliore. Circumnavigare l’Africa per andare ad ingrossare le fila dei lavoratori: lo fecero in molti dal nostro Paese, al punto che gli italiani emigrati in Australia rappresentarono per molto tempo il gruppo etnico più numeroso di origine non britannica.
“La presenza italiana cominciò a contribuire in profondità ai mutamenti irreversibili della comunità e dell’identità nazionale australiana”
(Stephen Castles “Italo-australiani” 1992)
Oro e canna da zucchero. La comunità italiana guadagnò progressivamente una propria consistenza, soprattutto nel Queensland, grazie alla presenza di piantagioni di canna da zucchero, e in Australia occidentale dove la corsa all’oro aveva attirato centinaia di minatori del Nord Italia, disposti a tutto pur di riuscire a fare rapidamente un po’ di fortuna. La presenza più massiccia era quella calabrese: erano nati a San Giovanni in Fiore, Siderno, Locri e altri paesi dell’estremo sud della Penisola. Lavoratori instancabili, ma soprattutto manodopera a basso costo. Tanto basso da spaventare i locali che consideravano gli immigrati italiani veri e propri ladri di occupazione. Presto, molto presto, i nostri connazionali divennero una “piaga sociale peggiore delle persone di colore, come già lo erano negli Stati Uniti”1, al pari di greci e ungheresi.
Nuova terra di conquista. Quando nel 1921 il governo degli Stati Uniti decise di porre pesanti restrizioni sugli ingressi nel paese, molti italiani scelsero l’Australia, nonostante la politica fascista di quegli anni fosse mirata a fermare il fenomeno migratorio per meglio gestire le conseguenze della crisi economica.
La guerra e gli internati italiani. Durante la seconda guerra mondiale molti immigrati furono deportati nei campi di internamento insieme agli “enemy aliens”, ossia ai residenti italiani in Australia, ai quali le autorità impedirono di continuare le proprie attività produttive, data la loro appartenenza ad uno Stato nemico. I prigionieri di guerra furono costretti a lavorare nelle fattorie agricole del Paese. Questo consentì agli italiani di entrare in contatto con la popolazione locale, facendosi apprezzare per la loro serietà e per il pieno rispetto dimostrato verso i civili, loro temporanei datori di lavoro. Così crebbe gradualmente la stima nei loro confronti, aiutando l’integrazione nella società australiana. I contadini italiani si guadagnarono il rispetto degli autoctoni grazie alla loro bravura, alla loro resistenza fisica, alla loro capacità di coltivare anche le terre ritenute improduttive. Lo stesso fenomeno si verificò nel settore del piccolo commercio dove emersero per la loro attitudine alla cooperazione e alla solidarietà familiare.
Alla conquista del rispetto. Lo stretto e intenso rapporto venutosi a creare nel corso degli anni tra l’Italia e l’Australia, ha indubbiamente giovato agli emigrati dal nostro Paese. Nonostante questo, il percorso di insediamento e integrazione degli italiani è stato lungo e faticoso e solo dopo la seconda guerra mondiale ha raggiunto una sua maturità sul piano culturale ed economico. L’Australia come l’America, la Svizzera, il Brasile: terre di speranza, rivelatisi luoghi in cui conquistare rispetto e dignità. Uniche vere ricchezze per un futuro migliore.
1 O’Connor, Desmond, “No need to be afraid. Italian Settlers in South Australia between 1839 and the Second World War” Kent Town, Wakefield Press, 1996, pag. 62.