In fuga dalla società moderna. Viaggio nelle comuni degli anni Duemila - Diritto di critica
Quarant’anni fa nelle comuni degli Hippie si viveva insieme professando il libero amore, la proprietà collettiva e il rifiuto di un mondo dominato dalla tecnologia e dalla prevalenza dell’interesse economico sul singolo individuo.
Oggi, dopo quasi mezzo secolo, a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, il villaggio autogestito di Urupia continua a vivere secondo i principi di libertà e fratellanza, producendo cibo e manufatti, e coinvolgendo ogni membro della colonia (senza considerare i turisti, accolti in appositi campeggi, gli abitanti sono una ventina) nella gestione della comunità.
Mai come in questi anni indecisi e stressanti la presenza di spazi liberi autogestiti i cui membri dialogano e cercano di “pensare localmente, per agire globalmente” è vista con curiosità ed interesse, tanto da rendere queste zone franche meta di turisti e cittadini confusi che cercano di ritrovare se stessi.
Urupia, fondata nel 1995 da un collettivo anarchico di Lecce e da alcuni giovani di Berlino, è solo un esempio dei circa 30 “ecovillaggi” presenti in Italia, dove natura e uomo si intrecciano e ogni bene è rigorosamente condiviso. Parole d’ordine: ecologia, lotta al consumismo e arricchimento spirituale.
In linea di principio queste realtà, sparse in tutto il mondo, si ispirano alle colonie libertarie dell’ ‘800, che rifiutavano in generale le leggi e le imposizioni dello Stato: tassazione, voto politico, servizio militare e l’istituzione del matrimonio.
Il primato oggi spetta agli Stati Uniti che, senza considerare i gruppi religiosi riuniti in colonie come gli Amish, conta di quasi 2000 ecovillaggi; al secondo posto Gran Bretagna e Irlanda, con 250 comuni.
In Germania troviamo la Zegg, comune immersa nella natura, a 80 chilometri da Berlino. Il progetto Zegg conta un centinaio di persone che si autofinanziano e svolgono la cosiddetta permacoltura, ovvero la coltivazione di prodotti alimentari e l’uso di materiali da costruzione secondo i principi di sostenibilità ambientale.
Nata in piena epoca hippie (era il 1971), la città libera più famosa in Europa è però la danese Christiania, sorta in un ex quartiere militare di Copenaghen e perfettamente organizzata come uno “Stato nello Stato”. Originale e alternativa anche nell’architettura delle sue colorate stradine, Christiania possiede una sua radio, una scuola materna, negozi e luoghi pubblici in cui si dialoga di musica, pedagogia, ecologia e benessere. In accordo con il governo danese, i residenti non pagano tasse e concedono ai turisti stranieri di vedere questo angolo di Danimarca, che è diverso da tutto il resto del Paese nordico.
In realtà negli ultimi anni l’esistenza della comunità è a rischio: nel 2006 la città ha perso il suo statuto speciale di comunità alternativa, e il commercio indiscriminato di hashish (anche se il regolamento della città vieta l’uso di droghe pesanti) ha provocato duri scontri con la polizia.
Ecologia, rifiuto delle leggi, libertà o rivendicazione dei propri diritti: le motivazioni che spingono gruppi affiatati ideologicamente a riunirsi sono molteplici.
L’etnia dei Mapuche, per esempio, originaria della Patagonia, rivendica da anni le terre dei propri antenati, oggi in mano alla polizia provinciale argentina e a multinazionali come la Benetton. Per farsi sentire, i Mapuche stanno creando colonie autogestite su quello stesso territorio dal quale sono stati cacciati nel corso degli anni. E non intendono andarsene.