L'Italia non è un paese per donne - Diritto di critica
Scritto per noi da Federica Spurio Pompili
Non è un paese per donne. Potrebbe intitolarsi così il sequel del film premio Oscar dei fratelli Cohen. Occorrerebbe però cambiare i protagonisti del titolo e soprattutto il luogo di svolgimento della trama: dai vecchi all’altra metà del cielo, dal Texas al Belpaese.
Per cominciare ad avere un’idea della reale situazione lavorativa femminile nel nostro Paese cerchiamo di partire dai numeri. Gli ultimi dati Eurostat sono a dir poco allarmanti: se andiamo ad analizzare il tasso standard notiamo che l’occupazione maschile raggiunge il 70,3% mentre quello relativo all’occupazione femminile si arena al 47,2%. La situazione è addirittura peggiore se si analizza, invece, il campione femminile tra i 24 e 54 anni con prole. Andando a tirare le somme, nel vero senso della parola, il risultato che otteniamo è molteplice. In primo luogo l’Italia non sembra proprio il posto adatto ad una donna che aspiri ad una realizzazione professionale. Quando, semmai questa dovesse concretizzarsi avviene in tempi più lunghi rispetto a quelli maschili.
Alcune indagini recenti hanno sottolineato come le italiane abbiano incredibili difficoltà a raggiungere ruoli direttivi e come, a parità di posizione professionale, il salario percepito sia nettamente inferiore a quello di un collega: difficile trovare la giusta motivazione con una situazione simile, quando soprattutto, dati di AlmaLaurea alla mano, risulta che le donne si laureano in maggior numero e molto prima rispetto ai maschi, con voti nettamente migliori. In secondo luogo, lo stacco professionale tra maschi e femmine spesso avviene già al momento del colloquio lavorativo. In questa occasione solo uno dei due sessi si sente rivolgere domande che riguardano esclusivamente la propria sfera privata: situazione affettiva, progetti familiari, figli… Secondo voi quale dei due?
Generare e allevare vita sembra sia diventato un vero problema: sono ancora molte, se non troppe, le donne costrette a scegliere tra famiglia e carriera. Spesso buona parte delle donne decide di lavorare part-time nel tentativo di conciliare entrambe le cose, mentre molte altre si trovano costrette a dover rinunciare ad una delle due. Una delle principali cause dell’incompatibilità tra famiglia e carriera è il basso numero di asili nido in Italia. Strano a dirsi, il problema torna a essere quello dei soldi.
Il ritardo dell’Italia nei confronti dell’obiettivo Ue di Lisbona (33 posti al nido ogni 100 bimbi, fissato per lo scorso 2010) è da imputare soprattutto ai governi che si sono succeduti dagli anni Settanta ad oggi: occorrerà attendere la Finanziaria 2002 e i suoi soli 50 milioni perché lo Stato si impegni nuovamente nel settore dei servizi per l’infanzia. La finanziaria 2007 ha poi messo in campo un piano triennale per i nidi che ha stanziato 727 milioni di euro in tre anni, di cui 446 dello Stato e 281 delle Regioni. E purtroppo non tutte le Regioni hanno saputo amministrare bene le risorse: Puglia, Calabria, Basilicata e Molise, ad esempio, sono in grado di soddisfare solo tra il 6 e il 15% della domanda di nidi. Non a caso il tasso occupazionale femminile con prole raggiunge i punti percentuali più bassi nel Sud Italia. I soldi sono un problema, però, anche per chi deve usufruire delle strutture stesse: un asilo nido costa in media 290 euro al mese ma si arriva a toccare anche punte di 1000 euro in alcuni asili privati. Gli orari, inoltre, sono meno flessibili di quelli richiesti alle mamme lavoratrici ed quindi spesso le famiglie devono integrare il nido con una baby sitter. Procreare diventa, perciò, sempre più una scelta da ricchi.
Il pericoloso corollario è che questo, in un futuro sempre più presente, non sia neanche un Paese per giovani. L’Italia è ormai esclusivamente un Paese per vecchi.