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Diritto di critica | November 18, 2024

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Le trappole della guerra umanitaria. Il caso libico - Diritto di critica

Le trappole della guerra umanitaria. Il caso libico

Qualsiasi intervento militare porta sempre con sé numerose critiche, dividendo costantemente l’opinione pubblica tra sostenitori e contrari. Il problema è che il confine tra legittimità e legalità è difficile da individuare e allo stesso tempo facile da aggirare. Sebbene però, norme, articoli e documenti internazionali possano aiutare a giustificare un qualsiasi tipo d’intervento, alla fine si deve sempre affrontare la realtà locale che difficilmente si adatta alle forzature esterne.

Importare la democrazia. Difficilmente l’imposizione della democrazia e del rispetto dei diritti umani da parte di Stati stranieri ha successo. La democrazia infatti non può scendere dall’alto ma essere intrinseca alla cultura politica della stessa popolazione. Per l’imposizione di una democrazia è necessaria l’esistenza di requisiti che non possono essere creati artificialmente. Requisiti ed attributi che permettono ad una democrazia di nascere e sopravvivere e che molto più spesso sono ottenuti tramite lunghe lotte o guerre di liberazione nazionale, più che attraverso interventi esterni.

Rischio pantano per le potenze straniere. Quando stati stranieri intervengono per liberare un paese in cui la popolazione non si è dimostrata in grado di liberarsi da sola, rischiano di impantanarsi in una situazione dalla quale pensavano di uscirne il prima possibile; una vera e propria trappola. Questo tipo di interventi si concludono con la nascita di un nuovo regime al cui vertice sono posti leader che non riescono a governare con le proprie gambe perché non sono in grado di mobilitare il supporto popolare necessario per rendersi autonomi. L’Iraq ne è un esempio con la conseguente guerra civile tra sciiti e sunniti dopo la caduta del regime di Saddam Hussein per mano anglo-americana. Di conseguenza, il nuovo leader al potere, ha bisogno del sostegno esterno per riuscire a rimanerci. Ciò inevitabilmente determina un rapporto di dipendenza che rende difficile poter definire la nazione come davvero libera. Spesso poi le dittature sono rimpiazzate da nuove dittature. Il nuovo leader impara presto che può governare solamente utilizzando gli stessi mezzi ed assumendo gli stessi comportamenti del proprio predecessore, tutti riconducibili all’uso della forza.

Da benefattori ad invasori. Decidere di liberare una nazione da regimi dittatoriali dunque non è così semplice e le implicazioni sono così tante e così complesse che difficilmente possono essere gestite. I “liberatori” si trovano così ad essere responsabili oltre che di enormi costi umani e monetari, anche di eventuali guerre civili successive al loro intervento, della possibile creazione di una “colonia” o della nascita di una nuova dittatura che si cela dietro ad una nuova ideologia. La fretta delle decisioni politiche, specie sotto elezioni, a volte non permette di ragionare su questi aspetti.

In Libia. Il caso libico è un nuovo intervento il cui successo è al momento un grosso punto interrogativo. Probabilmente Gheddafi, se avesse avuto a disposizione la propria artiglieria e la propria forza aerea, sarebbe stato in grado di riconquistare Bengasi, focolare della rivolta. L’intervento delle forze alleate, volto a proteggere la popolazione civile, lo ha privato di questi mezzi. Allo stesso tempo, i ribelli non sembrano essere in grado di affermare il loro potere senza un aiuto esterno neanche se le forze aeree e di terra di Gheddafi sono state neutralizzate. Tuttavia l’assistenza ai ribelli non è autorizzata dalla Risoluzione 1973. Tutto ciò sta creando una situazione contorta che in futuro sarà difficile da sbrogliare.