In Libia...secondo Mc Cain - Diritto di critica
È stato l’icona della sconfitta repubblicana alle elezioni presidenziali del 2008. Obama il futuro da conquistare, lui il passato da dimenticare. Di mestiere John McCain è tornato a fare il senatore e oggi, dall’alto della sua esperienza di ex combattente “vietnamita”, guarda al fronte più caldo: quello libico. Forte sostenitore dell’intervento americano nella campagna contro le truppe di Gheddafi, McCain ha esortato gli USA ad intensificare i raid aerei sulla Libia: “Più aspettiamo, maggiore è il rischio di stallo. E non c’è nulla di cui possano beneficiare di più i terroristi che una situazione di stallo”. Questo ha dichiarato nel corso di un’intervista trasmessa dalla Nbc.
“Ho incontrato questi combattenti coraggiosi, e non sono di Al Qaeda. Sono patrioti libici che vogliono liberare il proprio paese”, ha detto ancora nel corso della sua visita a Bengasi venerdì scorso. I timori di McCain riguardano la possibilità che il conflitto, attualmente tutt’altro che vicino ad una risoluzione definitiva, arrivi ad un “punto morto”, favorendo così l’inserimento di cellule terroristiche tra i ribelli. Una minaccia che nella peggiore delle ipotesi si concretizzerebbe nell’acquisizione del controllo dello stato nordafricano da parte di Al Qaeda.
La risposta deve venire dal cielo: il senatore dell’Arizona si è detto contrario all’impiego di truppe di terra. “Abbiamo tentato queste soluzioni in passato con altri dittatori, ed è più difficile di quanto si possa pensare”. L’America deve intensificare i bombardamenti aerei ricorrendo alle micidiali cannoniere volanti AC-130, aerei telecomandati muniti di mitragliatrici, il cui utilizzo è stato autorizzato da Washington solo pochi giorni fa e in misura contenuta. È importante inoltre che gli Stati Uniti e l’intera comunità internazionale riconoscano il Consiglio Transitorio dei ribelli come unica, legittima voce del popolo libico: “Hanno guadagnato questo diritto”, ha detto McCain, definendo Bengasi “un esempio forte e di speranza per quella che potrebbe essere la Libia libera”. Va data credibilità agli insorti, va tolto potere al colonnello, colpendo se necessario anche quella imponente macchina di propaganda e intimidazione che è la televisione libica.
Le riflessioni e le esortazioni del senatore repubblicano arrivano proprio nel momento in cui l’America si ritrova a dover fare i conti con un impegno militare che potrebbe rivelarsi non così breve termine come previsto. Nonostante l’ultimo successo ottenuto dagli insorti con il ritiro della truppe governative da Misurata, il conflitto è tutt’altro che vicino ad una risoluzione. La campagna della Nato “è diventata molto più difficile” a causa della scarsità di obiettivi da colpire, e “si è arrivati a una situazione molto simile a uno stallo nella vicinanze di Ajdabiya e Brega” città contese da settimane. Sono queste alcune delle recenti dichiarazioni dell’ammiraglio Mike Mullen, comandante dello stato maggiore della Difesa.
Ma la linea politica non cambia. Il portavoce del Presidente Obama, Jay Carney, ha confermato la fiducia riposta nelle strategie adottate: “Bisogna ricordare che le risorse di Gheddafi sono limitate”. Basta aspettare e il colonnello cadrà. Intanto niente armi ai ribelli, come invece sollecitato dallo stesso McCain; solo sostegno politico ed economico attraverso l’invio di 25 milioni di dollari in “veicoli, camion per trasporto di combustibile, ambulanze, equipaggiamento medico, giubbotti di protezione, binocoli e radio-trasmittenti”.
L’America si sporca le mani, ma non troppo. L’amministrazione Obama, dopo la coraggiosa e inaspettata scelta interventista, mantiene posizioni controllate, lontane da quelle assunte dagli USA nelle missioni precedenti. Ma i sondaggi non premiano il presidente accusato di aver deciso senza decidere. McCain scende in campo e invita a calcare la mano: lui, che la guerra l’ha vissuta sulla sua pelle, non concepisce un conflitto senza gli aerei migliori, uno scontro senza le armi più efficaci. Che sia di conquista o di libertà, le regole per sconfiggere il nemico sono sempre le stesse. La diplomazia non è guerra, la guerra non è diplomazia. I ribelli vanno sostenuti sì, ma anche equipaggiati.
McCain contro Obama, ancora una volta. Il senatore e il Presidente, il combattente e il progressista: la prima volta vinse l’America, oggi a vincere dovrà essere la Libia. Libera al più presto.