L'ultimo rullino, la guerra di Libia uccide i fotoreporter Hetherington e Hondros - Diritto di critica
L’ultimo scatto l’hanno raccolto a Misurata, in quella città scenario della carneficina libica, dove padroni e ribelli continuano a scontrarsi senza sosta. Fotoreporter per professione, la loro è stata l’estrema fotografia di una vita trascorsa a documentare angoli di mondo dove guerra e libertà diventano due facce della stessa, contraddittoria medaglia. Tim Hetherington e Chris Hondros sono morti così, tra le maglie di un conflitto che giorno dopo giorno conta vittime e non vede fine. Erano proprio lì, sulla linea del fronte, a metà tra i lealisti e i ribelli, tra il sopruso e la giustizia, tra la violenza e la libertà. Ad un passo dall’immagine più realistica di questa guerra. A chiudere per sempre i loro obiettivi, un colpo di mortaio sparato dalle forze governative. Con loro altri tre giornalisti: Andre Liohn, Guy Martin e Michael Christopher Brown; il secondo ricoverato in gravi condizioni.
Tim Hetherington era nato a Liverpool, 41 anni fa. La passione per i racconti di guerra ce l’aveva sempre avuta e con la macchina fotografica al collo era partito a documentare rivolte e guerriglie dell’Africa Occidentale, tra Nigeria, Sierra Leone e Liberia. Poi l’Afghanistan e quell’immagine, scattata per la rivista Vanity Fair, divenuta uno dei simboli della missione: un soldato americano che si copre il volto dopo un giorno trascorso in prima linea nella valle Korengal. La fatica, la sofferenza di un “impegno di pace” che volenti o nolenti porta con sé il peso e la crudeltà di una guerra come tante. Quello scatto gli era valso nel 2007 il World Press Photo Award.
L’Afghanistan Tim l’aveva vissuto fianco a fianco con la squadra di soldati americani incaricata di difendere la collina intitolata ad un medico militare statunitense, Juna Restrepo. Così è nato “Restrepo”, un documentario diretto insieme al giornalista Sebastian Junger, premiato al Festival di Sundance e candidato agli Oscar nella sezione documentari.
Anche Chris Hondros di anni ne aveva 41 anni, ma era nato a New York, americano figlio di immigrati. Le sue immagini, apparse sulle copertine di riviste come Newsweek ed Economist e sulle prime pagine di quotidiani come il New York Times, il Washington Post e il Los Angeles Times, hanno raccontato il Kosovo, l’Angola, la Sierra Leone, l’Iraq e l’Afghanistan. Turbamento e commozione provocò il suo scatto più celebre, quello che ritraeva una famiglia irachena uccisa da soldati americani. Candidato al Premio Pulitzer nel 2004, nel 2005 si era aggiudicato il premio Capa, il piu’ prestigioso riconoscimento di fotogiornalismo dedicato al grandissimo fotografo Roberto Capa. In Libia era andato per conto della Getty Images.
“Sono nella città assediata di Misurata. Bombardamento indiscriminato da parte delle forze di Gheddafi. Nessun segno della Nato” questo l’ultimo Twitter di Tim Hetherington prima del fatale colpo di mortaio.
Si muore a Misurata, tra le ultime roccaforti rimaste nelle mani degli insorti. Si muore a via Tripoli, cuore pulsante dello scontro tra governanti e ribelli. I bombardamenti delle forze di Gheddafi non si placano e la popolazione chiede l’intervento delle forze internazionali di terra. “Se non arrivano truppe straniere moriremo”, ha detto uno dei leader degli insorti di Misurata, Nuri Abdallah Abdullati. Alle richieste di aiuto Gran Bretagna, Francia e Italia hanno risposto con la decisione di inviare non truppe di terra, ma istruttori e ufficiali di collegamento per addestrare gli insorti di Bengasi. Gli Usa – secondo il Washington Post – invieranno ai ribelli aiuti militari, per 25 milioni di dollari, in “veicoli, camion per trasporto di combustibile, ambulanze, equipaggiamento medico, giubbotti di protezione, binocoli e radio-trasmittenti”. Intanto però a Misurata si continua a morire. Carneficina, crimini contro l’umanità, lotta per la libertà, guerra nel significato più realistico del termine: poco importa al momento della conta delle vittime.
Tim e Chris erano al fronte, in prima linea, pronti a cogliere le pieghe più terribili di questo conflitto. In Libia, come in Afghanistan e nel resto del mondo, cercavano attimi, volti da immortalare per costruire il loro racconto. Non potevano immaginare che stavolta la storia l’avrebbero scritta sulla loro pelle, costretti a passare dall’altra parte dell’obiettivo, simboli di una guerra come ne avevano viste tante.
-
La guerra è un mostro senza occhi per questo schiaccia chiunque si avvicina troppo a lei. Proprio così, quello che chiamiamo guerra è frutto delle menti malate, lo dicevano gli antichi e lo ripetono oggi vari uomini e donne che si riconoscono nei valori del pacifismo moderato: coloro che si oppongono alla guerra fin quando non sono finite le varie possibilità di dialogo e mediazione. In questo momento la Libia è in guerra, quella che sembrava una “passeggiata militare” delle potenze colonizzatrice rischia di diventare una guerra civile che se non dividere la Libia la rendere simile alla Somalia. Con tutti i mezzi che hanno non sono riusciti a far tacere le arme: un fallimento assurdo.
Scrivo queste righe per rendere omaggio al fotoreporter inglese Tim Hetherington, purtroppo morto oggi a Misurata, la citta dove si spara ad altezza d’uomo. Me dispiace, me dispiace tanto. Lo stesso si dica circa giovani arruolati nel sud dell’africa per combattere per Gheddafi. Ogni mezzo militar bombardato, ogni trincera, ogni caserma distrutta sono loro a morire… muoiono così, come bestie.
Ho avuto l’opportunità di scrivere che le guerra, spesso quelle sporche e sbagliate come questa in Libia, peggiorano la situazione che intendono risolvere. I volenterosi occidentali volevano un intervento veloce, una guerra facile come ricevere le caramelle ad una bambina, invece hanno trovato un Gheddafi, un osso duro da masticare, ed è guerra, si spara e si muore fin quando non si sa.
Le guerre non sono la risposta giusta alla sete di dignità, alla sete di democrazia e giustizia sociale. Non alla guerra, “mai più la guerra”, lo ha ripetuto più volte Giovanni Paolo II in occasione dell’intervento Nato nei Balcani. Purtroppo gli uomini hanno la memoria corta e prima di chiudere i conti con una guerra si impantano già in altre. Spesso ci si dimentica le conseguenze degli interventi militari in paesi lontani, basta pensare all’Iraq che finora lotta per non disintegrarsi in tanti piccoli califfati. Chi parla più dell’Iraq? Chi spiega come stanno le cose? Chi? Nessuno.
Chiudo queste righe tornando sulla triste scomparsa di Tim Hetherington, fotoreporter inglese di fama mondiale, che purtroppo è morto in Libia, in una guerra sbagliata che porterà ancora molte vite, anzi, in questo preciso momento ci sono persone che stanno perdendo la vita. E’ tempo di smetterla.
Peace!Kingamba Mwenho
Ecumene24
Comments