Lampedusa, i sopravvissuti al naufragio: "le urla e i pianti dei bambini a bordo" - Diritto di critica
L’Sos è arrivato via messaggio su un telefonino, le ricerche sono scattate subito. Di trecento migranti se ne sono salvati appena 51. Gli altri li hanno ripescati ormai morti, molti non saranno mai ritrovati. Gli elicotteri li stanno ancora cercando, sorvolano il mare. Un cimitero sott’acqua alle porte di Lampedusa.
“Appena appresa la notizia dell’incidente – racconta un’operatrice Caritas in servizio sull’isola – sono andata alla base Loran con due volontari giunti in mattinata, un giovane medico di Milano, specialista in malattie infettive e un infermiere dell’ospedale Civico di Palermo. Arrivati lì, abbiamo trovato il direttore del centro sconvolto, impegnato nella distribuzione di indumenti nuovi, scarpe, sigarette e schede telefoniche. I migranti sopravvissuti al naufragio avevano tutti il volto segnato dalla tragica traversata.
Tra i sopravvissuti c’è Philip, 30 anni, racconta di essere scappato in Libia due anni fa dal nord della Costa d’Avorio per sfuggire alla persecuzione messa in atto dall’ex presidente Gbagbo contro i non-ivoriani. Ha origini senegalesi lui, è musulmano e appartiene all’etnia Diola, tre buone ragioni per esser vittima di persecuzione nel suo paese, dilaniato dalla guerra civile dal 2002. “Gli occhi di Philip – racconta l’operatrice – cominciano a lacrimare quando spiega che il sogno europeo si è trasformato in incubo e ha significato la morte per i suoi compagni di viaggio. Un attimo dopo gli tornano alla mente le urla e i pianti dei bambini a bordo, ho cercato di confortarlo dicendogli: “Fratello mio, hamdulillah, tu sei vivo e puoi raccontare tutto questo. Adesso devi vivere anche per loro, coraggio”. A quel punto ci siamo abbracciati e abbiamo pianto insieme, emozionati al pensiero di essere lì con quelli che erano candidati ad essere dei morti, dispersi in mare, e che invece oggi sono qui con noi, a testimoniare il miracolo avvenuto nel cuore di una notte come tante, ma diversa dalle altre”.
I tre casi più gravi, però, sono stati portati presso il Poliambulatorio. Fra loro anche la donna nigeriana all’ottavo mese di gravidanza. Quando i volontari arrivano sta dormendo: “ha 21 anni ma – racconta l’operatrice – sembra una bambina rannicchiata sul suo letto”. A qualche ora da quell’incontro, la donna è stata trasferita in elicottero all’ospedale Civico di Palermo.
Uno degli altri due sopravvissuti, raccontano i volontari: “non fa in tempo a dirci come si chiama, ha troppa voglia di raccontare”. “Viene dal Bangladesh – proseguono – e per due anni ha lavorato come piastrellista a Tripoli. Ci dice che in questi giorni il governo libico sta promuovendo i viaggi verso l’Italia, incoraggiando l’immigrazione irregolare con barche di fortuna. Lui stesso ha avuto paura di salire a bordo quando, dopo aver sborsato 1.700 dollari americani, si è reso conto che era su quell’imbarcazione di appena 13 metri di lunghezza che doveva salire, insieme ad altri 250 “passeggeri”. Ha avuto paura, ma la voglia di cambiar vita è stata più forte di tutto. “E’ partito dal porto di Al Zwara e ci ha detto che il mare non era per niente buono già al momento dell’imbarco, a mezzanotte circa del 4 aprile. Quando, dopo 30 ore di viaggio, i migranti hanno cominciato a rendersi conto che le onde stavano superando l’altezza usuale, hanno deciso di lanciare l’Sos. I passeurs erano con loro e all’arrivo dei primi soccorsi hanno spento i motori”. I passeurs tecnicamente sono i trafficanti. Poco dopo, il disastro: di 300 si salveranno in 51.
Jean -Philippe Chauzy, portavoce dell’Organizzazione internazionale per i migranti ieri ha spiegato che “la gente è affogata immediatamente e quelli che non sapevano nuotare si sono aggrappati agli altri, facendoli andare a fondo. Davvero una storia dell’orrore”.
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