Rifugiati, la Convenzione di Ginevra andrebbe riscritta - Diritto di critica
Era il 1951 quando l’Italia e gli altri paesi firmatari della Convenzione di Ginevra stabilivano che il rifugiato è “colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Per la Convenzione, dunque, diventa rifugiato chiunque sia vittima di persecuzione, purché individuale. Qualche anno prima, la nascente Costituzione italiana, con l’articolo 10, gettava le basi per una legislazione sull’asilo, ipotizzando la possibile accoglienza di soggetti vulnerabili: “Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Ma proprio queste ultime non hanno mai trovato concreta applicazione nel diritto corrente.
Un recente lavoro curato da Berardino Guarino della Fondazione Centro Astalli mostra come a distanza di 60 anni la legislazione sull’asilo in Italia appaia del tutto inadeguata e sollecita una serie di riflessioni.
I paesi dell’Unione Europea hanno cercato di definire una normativa uniforme e coerente, senza risultati: una serie di normative, di cui nessuna ha affrontato la questione fondamentale: come si chiede, concretamente, asilo? Lo stesso alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Antonio Gutierrez a 60 anni dalla Convezione ha sottolineato la necessità di “riaffermare e rinnovare l’attaccamento ai principi di protezione dei rifugiati”. Perfino Papa Benedetto XVI ha ribadito la necessità di “un’autorità mondiale per i rifugiati”.
A preoccupare le associazioni e gli operatori umanitari è, soprattutto, lo scarto tra ciò che è sancito dai trattati internazionali e ciò che accade quotidianamente, come sottolineato dalla Fondazione Astalli. Molte domande d’asilo vengono respinte, perché i rifugiati non sono in grado di dimostrare alle Commissioni territoriali (durante audizioni di dieci minuti) il cosiddetto “timore fondato”: per questo, le versioni dei richiedenti asilo risultano, spesso, “contraddittorie” e non convincenti agli occhi dei funzionari (e davanti al diniego, la possibilità di un ricorso esiste più sulla carta che non nella realtà). Accade, inoltre, che molti richiedenti (spesso vittime di tortura e soggetti vulnerabili) già impegnati in programmi di reinserimento e prossimi a ottenere lo status di rifugiato, vengano trasferiti, da un centro all’altro, senza spiegazioni o tutele, con il rischio di dover ricominciare dall’inizio percorsi lunghi e faticosi, proprio come è successo a Mineo. E poi ci sono i tempi di attesa per il rilascio dei permessi che andranno rinnovati dopo qualche anno (5 anni per lo status rifugiato, 3 per la protezione sussidiaria), i vincoli e le difficoltà burocratiche.
Emerge, così, un sistema incapace di tutelare i “migranti forzati” (50 milioni, in tutto il mondo): persone costrette ad abbandonare i propri paesi, a lasciarsi improvvisamente alle spalle tutto ciò che avevano costruito. Sono i cosiddetti “rifugiati di fatto”, che necessitano di una particolare protezione umanitaria (pur non essendo vittime di una persecuzione individuale), data la “natura involontaria” della loro migrazione.
E soprattutto il diritto d’asilo deve essere ripensato alla luce delle nuove sfide mondiali. Dall’inizio del 2011, sono più di trenta le nazioni interessate da conflitti di vario tipo. Non solo guerre e deportazioni, ma anche situazioni di povertà estrema e rivoluzioni epocali, come quelle nel nord Africa, che lasciano dietro di sé tutte le incertezze e incognite tipiche dei periodi di transizione. E poi ci sono i disastri ambientali, tali da allarmare l’opinione pubblica dell’intero pianeta. Chi è, oggi, il “rifugiato”? Ci sono interrogativi, ai quali la comunità internazionale è chiamata a rispondere: perché, ad esempio, quelle migliaia di tunisini che sono arrivati e continuano ad arrivare a Lampedusa non rientrano nella definizione stabilita a Ginevra e rimangono per la legge “clandestini”, destinati ai Cie e al rimpatrio forzato? Il rischio (evidenziato anche dal Cir durante la conferenza nazionale dell’immigrazione del Pd) è che l’Europa non abbia gli strumenti adeguati per interpretare e affrontare un cambiamento epocale.
Secondo i dati dell’UNHCR (riportati dalla Fondazione Astalli) le migrazioni hanno le maggiori ripercussioni sui paesi vicini: nel 2010, quasi tre milioni di profughi provenienti dall’Afghanistan sono fuggiti in Iran e Pakistan; circa un milione e 785mila profughi iracheni si sono riversati in Siria e Giordania; Kenya e Yemen hanno accolto oltre 670mila profughi somali: numeri enormi se confrontati con l’Italia con il resto dell’Europa, rese sempre più inaccessibili dalle nuove rotte (ad esempio, attraverso il fiume Evros, al confine tra Grecia e Turchia) e da viaggi più lunghi e pericolosi, durante i quali i profughi sono vittime di violenze e torture. Nel 2009 sono state circa 260mila le domande d’asilo in Europa: l’Italia ne ha accolte 17mila (rispetto alle 42mila della Francia e alle oltre 27mila della Germania), con un ulteriore calo (- 43%) nel 2010 (10mila domande d’asilo, nel nostro paese). La Corte Europea è intervenuta più volte contro la politica dei respingimenti, ma per il Ministero dell’Interno, quest’ultima ha permesso una diminuzione di migliaia di “clandestini”. Occorre ripensare l’asilo e l’accoglienza, attraverso una legge organica, per evitare che il permesso di soggiorno rimanga un pezzo di carta. Per fare in modo che i rifugiati siano consapevoli dei loro diritti, primo fra tutti, il riconoscimento della loro dignità.
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una ragazza giapponese che trovandosi in italia al momento del terremoto e dell’eslosione nucleare avvenuta nel suo paese, è terrorizzata all’idea di ripartire.scaduto il visto turistico oggi è clandestina. non ha forse diritto ad una protezione umanitaria e dunque a restare legittimamente in italia ?
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