Disastri ambientali, la strage impunita di Bhopal - Diritto di critica
Il tribunale distrettuale di Bhopal, in India, li ha condannati l’estate scorsa ad una pena massima di soli due anni e duemila dollari di multa. Ma gli otto responsabili del disastro ambientale che nel 1984 è costato la vita a migliaia di persone sono ricorsi in appello e la causa è ancora lontana dal concludersi.
Con l’incubo nucleare che incombe sul Giappone, torna alla mente il terribile incidente accaduto nella sede dell’azienda Union Carbide India Limited, specializzata nella produzione di pesticidi. Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre di quasi 27 anni fa una nube altamente tossica si è alzata nel cielo ricadendo sulla bidonville della periferia di Bhopal. La morte in forma gassosa si chiamava isocianato di metile: migliaia di persone persero la vita immediatamente, bruciate e soffocate dal gas altamente tossico, altre morirono nelle settimane successive per i danni causati dalla nube.
Secondo Amnesty International, le vittime del disastro furono più di 20mila. E ancora oggi, dopo un quarto di secolo, nella capitale dello Stato del Madhya Pradesh mezzo milione di indiani soffre di gravissime patologie e invalidità permanenti, prima tra tutte la cecità. Le sostanze tossiche restano intrise nell’aria, nell’acqua, nel suolo e uccidono come mosche migliaia di abitanti. Cancro, tubercolosi, malattie del sistema immunitario e malformazioni genetiche sono solo alcune delle terribili conseguenze della tragedia. Una ricerca scientifica del 2002 ha rivelato inoltre la presenza di piombo e mercurio nel latte materno delle donne residenti nell’area contaminata.
Da anni si susseguono processi e udienze, sia in India, sia negli Stati Uniti, dove aveva sede la casa madre della Union Carbide. All’inizio degli anni Novanta l’industria ha versato 470 milioni di dollari come risarcimento, ma ai poveri abitanti sono arrivati solo 300 dollari a testa, una miseria considerando le spese mediche che stanno affrontando. Ora, dopo la sentenza-farsa del giugno 2010, i parenti delle vittime si sentono presi in giro. Non solo per il prolungarsi delle cause giudiziarie e per l’irrisoria pena inflitta in primo grado, ma anche perché il responsabile numero uno, l’ex presidente della multinazionale Warren Anderson, è da anni latitante negli Usa e probabilmente non pagherà mai.
Il disastro di Bhopal, infatti, è accaduto per mancanza di controllo e incuria umana; fu lo stesso Anderson a voler costruire uno stabilimento chimico a così poca distanza dal centro abitato, e a risparmiare vergognosamente su sistemi di manutenzione e sicurezza dell’impianto. Priva di controllo e con scarsa refrigerazione, la caldaia che conteneva il gas si surriscaldò a tal punto da non riuscire più a contenerlo.
Gli indiani che continuano a convivere con gli effetti dell’incidente proseguono la loro battaglia per ottenere giustizia, tra proteste e sit-in. Ma per loro la beffa è infinita: l’ex dirigente dell’Union Carbide India, Keshub Mahindra, dopo la strage è diventato uno degli uomini d’affari più ricchi del subcontinente, con la sua azienda di veicoli industriali. Dopo la sentenza dell’anno scorso, se l’è cavata con meno di 500 euro di cauzione.
Mentre il processo d’appello degli otto imputati potrebbe durare anni, l’impianto chimico a Bhopal è completamente abbandonato da decenni e la mancanza di un’adeguata bonifica sta portando ad un lento ma inesorabile inquinamento delle falde acquifere e del territorio circostante. Un inquinamento che continua a mietere vittime, silenzioso e micidiale.
Comments