Libia: la Francia si arrende alle rischieste italiane - Diritto di critica
La Francia si arrende. Il suo protagonismo è stato sconfitto. Trovato un accordo tra Londra, Parigi e Washington per destinare il comando delle operazioni alla Nato. Il governo italiano può tirare un sospiro di sollievo dopo che nelle giornate di ieri e di oggi era sceso il gelo tra Roma e Parigi. L’aggressività di Sarkozy era vista dal governo italiano come una minaccia alla sua egemonia economica in Libia.
Ieri e oggi, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha chiesto che il comando delle operazioni fosse trasferito alla Nato, “altrimenti definiamo un comando autonomo per i nostri mezzi e le nostre basi”. Parole pesanti dirette al di là delle Alpi. Il motivo è semplice. L’Italia, trascinata in questo conflitto da Gran Bretagna e Francia, si è vista scavalcata prepotentemente da Parigi nella gestione della crisi e con la conseguente perdita di peso geopolitico nell’area. L’unica soluzione era chiedere aiuto a Washington. Se l’intervento militare verrà gestito dalla Nato, l’Italia potrà vantare di un peso specifico superiore, frutto di una rendita di posizione conquistata in Afghanistan e in Iraq, e potrebbe giocare un ruolo di mediazione nel momento in cui si dovesse prefigurare uno stallo.
Ma la Francia ha resistito fino all’ultimo. È la “sua” guerra e vuole vincerla, anche a costo di mettere in pericolo la fragile coalizione anti-Gheddafi che oggi si regge su tre comandi separati. Le azioni sono spesso scoordinate e senza un piano strategico. Così si bombarda senza sapere bene per quali finalità.
L’atteggiamento bellicoso della Francia sta provocando tensioni che rischiano di trasformare la Libia in un nuovo Iraq. Per evitare la peggiore delle ipotesi, è necessario che la missione prosegua con l’avallo dei paesi limitrofi e della Lega araba. In nessun caso deve apparire come una guerra coloniale o come uno scontro di civiltà. Ed il recente strappo di Amr Moussa, segretario della Lega araba, non lascia presagire nulla di buono. La risoluzione dell’Onu 1973 non è ben chiara sui limiti dell’intervento: “Imposizione di una no-fly zone sulla Libia e autorizza tutti i mezzi necessari a proteggere i civili e le aree popolate da civili, ad esclusione di qualsiasi azione che comporti la presenza di una forza occupante”. Attaccare il bunker di Gheddafi rientra in un’azione volta a proteggere i civili? Su questo punto l’Occidente rischia di perdere l’appoggio dei paesi arabi.
Anche il governo italiano ha espresso perplessità sui bombardamenti. “Non dovrebbe essere una guerra contro la Libia”, spiega il ministro Frattini, convinto della necessità che solo attraverso la Nato, “tutti sanno cosa fanno gli altri”. Roma teme che senza un coordinamento sia difficile controllare le azioni della Francia che, per il governo, non devono varcare il limite imposto dal Consiglio di Sicurezza, un limite che lascia all’Italia un margine di intervento diplomatico nella crisi.
Ufficialmente la Francia è stata contraria al comando Nato perché potrebbe far mutare gli umori dell’opinione pubblica araba, sinora moderatamente favorevole all’intervento. In realtà, anche secondo il governo italiano, Parigi mira semplicemente a mantenere la leadership della missione in modo da accreditarsi presso un eventuale nuovo governo dei ribelli con vantaggi economici. E per far questo non è necessario che la Libia rimanga unita. La Francia, lasciata sola anche dalla Gran Bretagna, ha dovuto cedere. Il suo isolamento diplomatico è oramai evidente: gli ambasciatori della Nato hanno sospeso la loro riunione dopo un dibattito accesso che ha visto l’ambasciatore francese lasciare la sala. La strada per uscire dall’immobilismo di queste ultime ore passa ancora una volta da Washington. Anche in quest’occasione l’Europa si è dimostrata incapace di difendere i propri interessi. Dividendosi.
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