Sessismo, petrolio e biocarburanti: così cresce la fame - Diritto di critica
La parità tra i sessi, nel Sud del mondo, potrebbe ridurre la fame. Lo sostiene la Fao nel rapporto presentato qualche giorno fa a Roma sullo “Stato dell’Alimentazione e dell’Agricoltura 2010-2011”. Secondo Terry Raney, curatrice della ricerca, i dati non lasciano dubbi: se l’altra metà del cielo avesse gli stessi diritti degli uomini (ovvero poter comprare, vendere o ereditare la terra, prendere denaro in prestito o firmare contratti), la produzione agricola aumenterebbe del 20-30%, con conseguente riduzione dei prezzi alimentari.
E quindi della fame, dal momento che la prima causa di indigenza nelle popolazione africane, asiatiche e sudamericane è il boom del costo del grano e dei generi di prima necessità. Sempre la Fao, in un documento condiviso con il Pam (Programma alimentare mondiale dell’Onu), ha reso note le ultime stime in fatto di fame nel mondo: oltre 925 milioni di persone, secondo le due organizzazioni, vivono al di sotto della soglia di sussistenza. Segno che gli sforzi finora fatti non bastano e che l’obiettivo delle Nazioni Unite di dimezzare la quota degli affamati entro i primi decenni del terzo millennio, è ancora lontano dal compiersi.
Anzi, la situazione si sta aggravando. Il cambio climatico in atto determina una maggior frequenza di alluvioni e siccità; la domanda crescente degli idrocarburi e le politiche nazionali protezioniste fanno crescere i prezzi degli alimenti e minacciano la sicurezza alimentare. Già a febbraio i prezzi alimentari globali hanno raggiunto livelli record e la FAO ha fatto sapere che ulteriori impennate del prezzo del petrolio si ripercuoterebbero subito sui mercati dei cereali, già molto volatili. Sul banco degli imputati c’è la crescente volontà da parte di molti produttori di coltivare cereali – non per riempire pance vuote, ma per produrre energia. Sottraendo terra all’alimentazione e aggravando la carestia già in atto. La Fao si è detta molto preoccupata per questa situazione, che tuttavia non è nuova.
Già nel 2007 l’allora presidente statunitense George W. Bush stipulava un accordo con il Brasile per la produzione di etanolo, chiedendo alle fabbriche di automobili di raddoppiare la produzione di auto a combustibili alternativi. Alcune reazioni all’accordo furono particolarmente dure; come quella dell’anziano leader cubano Fidel Castro, secondo cui la produzione di massa di biorcarburanti da parte degli USA rappresentava una nuova tragedia umanitaria per tre miliardi di persone. “L’obiettivo di produrre 132 miliardi di litri di bioetanolo implica la produzione di 320 milioni di tonnellate di mais”, scriveva Castro, il che equivale a dire che si stava concretizzando la volontà di “convertire il cibo in combustibile“. Chilometri di carburante contro vite umane: una scelta inaccettabile, ma che viene tutt’ora fatta dai “big” del mondo.