Scritto per noi da Barbara Indovina*
I ministri della Giustizia e per la Pubblica Amministrazione, Angelino Alfano e Renato Brunetta, hanno congiuntamente annunciato un’intesa programmatica tesa alla realizzazione della digitalizzazione del settore giustizia in 18 mesi stanziando, per l’attuazione del programma, oltre 50 milioni di euro. Ma cosa si intende per digitalizzazione del processo? E qual è lo stato dell’arte in Italia?
Innanzi tutto bisogno chiarire che per digitalizzazione del processo si intende prevalentemente la digitalizzazione del processo civile: in ambito penale infatti, nonostante alcuni Tribunali stiano studiando protocolli di intesa con Procure e Consigli dell’Ordine, gli insormontabili ostacoli dettati dal codice di procedura penale circa le notifiche rendono, allo stato, di difficile introduzione un “processo penale telematico”.
L’idea del Processo Civile Telematico (PCT) nasce nel 1996 durante un convegno tenuto dal professore Vincenzo Di Cataldo, docente di diritto commerciale presso l’Università di Catania, che prospettò l’idea di un modello di processo civile interamente telematico basato sul collegamento in rete degli studi professionali, cancellerie e uffici giudiziari.
Ovviamente il presupposto affinché si possa costruire il PCT è che si possa operare in un ambiente totalmente informatizzato sia dal punto di vista delle dotazioni hardware (ossia tutti devono poter utilizzare un PC) sia dal punto di vista dei software adeguati al progetto.Ecco, il primo vero ostacolo: il superamento del digital divide ossia il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie e chi ne è escluso. E’ innegabile che in Italia tale divario assuma proporzioni enormi qualora si consideri la differenza tra le strutture informatiche esistenti nei diversi Tribunali e il grave dissesto che molte sedi hanno, specialmente nel sud del paese. Ne è prova il documento di sintesi redatto dal Ministero della Giustizia che descrive lo stato dell’arte dell’evoluzione del PCT nel mese di ottobre 2010: 45 Tribunali e 5 Corti d’Appello consentono la visione dello stato dei procedimenti (ossia sapere se il fascicolo è stato assegnato ad un giudice, il numero di ruolo, la data di udienza, data di rinvio etc.), mentre solo 24 Tribunali consentono la digitalizzazione degli atti (ossia la creazione di un fascicolo telematico, il deposito degli atti, invio di biglietti di cancelleria) ma solo per il procedimento di ingiunzione. Solo il Tribunale di Milano, allo stato attuale, permette il deposito di atti e memorie di parte nel processo civile ordinario (ma solo alcune limitate categorie di atti quali, ad esempio, le memorie istruttorie o le comparse di risposta ex art. 167 c.p.c.).
Il tutto a circa dieci anni dall’entrata in vigore della prima normativa sul processo civile telematico (Decreto del Ministero della giustizia 13 febbraio 2001, n. 123, con il quale è stato varato il «Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo innanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti») anche se le linee guida “tecniche” sono arrivate solo svariati anni dopo.
L’evoluzione del processo civile telematico passa anche attraverso la digitalizzazione del settore pubblico: con il Codice dell’Amministrazione Digitale (emanato nel 2005 e poi riformato nello scorso dicembre) si sono introdotti concetti quali il documento informatico e la firma digitale e il sistema pubblico di connettività, la rete necessaria per il flusso delle informazioni.
Ecco il perché della necessaria sinergia tra i due ministeri: la creazione di una rete unitaria delle Pubbliche Amministrazione comporterebbe un enorme risparmio di tempo e un abbattimento drastico dei costi anche nel settore giustizia. Tuttavia è mancata una armonizzazione dei dettati normativi e elle linee guida e disposizioni operative che introducessero un graduale passaggio alla digitalizzazione e aiutassero ad annullare il digital divide.
Il nuovo CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale ) contiene nuovo progetti ambiziosi di informatizzazione della PA senza che siano attuati completamente gli step previsti dal primo dettato normativo del 2005. Gli strumenti normativi, quindi, ci sono: mancano norme attuative e disposizioni economiche volte innanzi tutto a fornire a tutti gli uffici giudiziari gli strumenti necessari ad accedere ad un vero processo di digitalizzazione.
Sicuramente il proclama dei Ministri non può che essere accolto positivamente dagli addetti ai lavori soprattutto considerando l’imponente impiego di risorse economiche: tuttavia i problemi della Giustizia sono molti e profondi. Se è vero, come viene detto, che gli avvocati si sono pressoché tutti dotati di PEC, è anche vero che pochi uffici hanno fatto altrettanto anche perché una casella di PEC ha costi rilevanti se moltiplicata al numero di utenze a cui fornirla.
Ed è vero anche che solo pochi giorni fa il Tribunale di Milano ha affermato di non poter garantire la sicurezza delle reti a causa dell’interruzione del servizio di assistenza informatica agli uffici giudiziari, disposta dal ministero della Giustizia per mancanza di fondi. La creazione del “vero” processo telematico necessita di una rete nazionale interconnessa e sicura, di una progressiva ma celere digitalizzazione che operi in tutti i campi. Forse si riuscirà in poco più di un anno a colmare anni di sprechi e risolvere tutti questi problemi? Staremo a vedere.
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* Barbara Indovina è avvocato in Milano e docente a contratto presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di “Informatica per Giurisprudenza”. E’ autrice del volume “Informatica per giurisprudenza”, Egea Tools, 2010. http://arraylaw.eu/it/barbara_indovina
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