Intervenire o no in Libia? Il dilemma di Obama - Diritto di critica
Sembra il destino di ogni Presidente statunitense. Anche Obama deve affrontare una crisi internazionale. Intervenire militarmente in un conflitto all’estero oppure no. Un dilemma difficile per un Presidente che è salito al potere accusando Bush per gli errori commessi in Iraq.
Il New York Times ha dedicato un lungo articolo al Presidente, dubbioso su quale sia la soluzione migliore per affrontare il problema libico e cosciente che gli Stati Uniti non possano rimanere fermi davanti ai bombardamenti degli aerei di Gheddafi sulla popolazione civile. La riluttanza a parlare della misura più ovvia ossia l’istituzione di una no-fly zone sulla Libia, è la dimostrazione dei dubbi dell’amministrazione americana su un possibile intervento in una situazione instabile e in una regione dove qualsiasi intromissione esterna è considerata come cinica e neo-coloniale.
Obama ha bene in mente le esperienze dei suoi predecessori in situazioni paragonabili a quella libica: Ronald Reagan in Libano, George H. W. Bush in Iraq ed in Somalia, Bill Clinton in Bosnia-Kosovo ed in fine George Bush in Darfur. Imprese spesso fallimentari. I vantaggi e le criticità di un eventuale intervento non sono facilmente valutabili. Intervenire troppo presto per cercare di salvare il massimo numero possibile di vite umane può essere letto dall’opinione pubblica come una reazione eccessiva. Una reazione tardiva può valere l’accusa di aver lasciato morire troppi innocenti.
Pesanti eredità che complicano la situazione.A rendere più difficile la scelta, l’Iraq e l’Afghanistan. Obama ha già ereditato due guerre in terre musulmane. Aprire un terzo fronte non è auspicabile. Il Presidente ha sempre voluto rassicurare tutti affermando che in Iraq ed in Afghanistan gli americani non hanno mai avuto alcuna intenzione di seguire progetti imperialistici. Sarebbe difficoltoso continuare a sostenere questa tesi in caso di un ulteriore intervento militare, anche se per motivi umanitari. Per la Casa Bianca è stata una vittoria il non aver dovuto intervenire in Tunisia e in Egitto dove i due dittatori si sono fatti da parte senza eccessivi spargimenti di sangue. Rimane, inoltre, fondamentale nella strategia della presidenza americana, che i giovani arabi si sentano padroni dei loro movimenti politici.
I rischi della no-fly zone. La stessa istituzione di una no-fly zone è una decisione complessa e rischiosa dovendo essere preceduta dalla distruzione dell’intero sistema contraereo della Libia da parte dei jet americani. Sebbene la no-fly zone sia stata utilizzata dagli americani in passato, non tutti gli analisti statunitensi concordano sul fatto che possa essere la soluzione migliore data anche l’opposizione della Russia e della Cina. “Nessuno vuole vedere aerei americani o Nato che abbattono quelli libici” ha detto Tom Malinowski, direttore dell’ufficio di Washington dello Human Rights Watch.
Il Presidente Obama ha chiesto al proprio staff di studiare i precedenti sollevamenti nell’Europa dell’Est, in Medio Oriente e Sud-Est asiatico e il ruolo degli Stati Uniti. Agisce con prudenza. Non sono ammessi errori che potrebbero essere fatali per lui e per l’immagine del intero Paese.
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Secondo il programma di ricerca Statunitense fino ad ora 57 guerre sono state combattute sul suolo di 45 paesi. Si registrano 25 guerre interstatali, che hanno portato 3,3 milioni di morti in combattimento. Nello stesso periodo sono deflagrate ben 127 guerre civili, che hanno lasciato sul terreno 16,2 milioni di morti. Al di là della definizione degli esperti, questi dati dimostrano come le guerre interstatali sono diventate in modo inequivocabile la principale forma di violenza organizzata negli scenari globali. Guardando alla Libia e alla possibilità di applicare la no-Fly-zone nel suo spazio aereo, resta comunque una scelta di non facile applicazione, che è stata più volte nella storia oggetto di dibattito. Per esempio nel 1992 Il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America intervennero in uno scontro tra il regime Iracheno e la popolazione curda nell’Iraq settentrionale, l’intenzione era quella di prevenire i bombardamenti e gli attacchi chimici del regime contro i Curdi. La legalità di questa oporazione è stata comunque oggetto di dibattito, infatti i sostenitori della decisione affermavano che la no-fly-zona era stata autorizzata dalla risolzone n° 688 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i contrari invece sostenevano che la risoluzione n° 688 non menzionava e quindi non autorizzava questo tipo di intervento. L’uso della forza a tutela dei diritti dell’uomo non è contemplato in maniera esplicita dal Diritto Internazionale, ma quando lo si applica lo si fà in nome di una norma avente natura consuetudinaria, (la consuetudine). E’ comprensibile quindi che per un Presidente di grandi vedute come Obama sia molto difficile prendere una decisione che passerà alla storia. Non bisogna dimenticare però che oltre il grave problema Libico esiste anche un’altro grave problema che interessa tutto il momdo Arabo. Tutte quelle popolazioni che ribellandosi ai vari dittatori di turno adesso sono in una situazione di stan-by, in una attesa pericolosissima per ciò che potrà accadere domani . Il futuro del mondo è ora più che mai davvero incerto. Abbiamo come esempio le dolorose esperienze delle guerre passate, dei conflitti inrisolti o di quelli risolti con gravissime conseguenze per tutti quei popoli che, loro malgrado, le hanno dovute subire. Sappiamo oramai che la “guerra” di per sè non è mai “giusta”, o comunque non risolve mai definitivamente le problematiche mondiali. Sappiamo anche che l’economia mondiale spesso impone alle nazioni di chiudere un’occhio, “non vedo, non sento, non parlo”, ma se mi conviene faccio affari anche con dittatori o con uomini di dubbia moralità. In questi affari spesso loschi c’è anche il petrolio, che non a caso è chiamato “l’oro nero”. Esistano limiti paurosi rispetto a tutte quelle speranze che nel passato ci hanno esaltato, limiti che adesso oscillano tra ferite e civiltà, tra bene e male. La rivoluzione che è avvenuta nelle popolazioni arabe cambierà comunque il mondo, per il modo con cui è iniziata e per come si evolverà. Per una volta nella storia abbiamo l’opportuinità di riunire: civiltà, religioni, mentalità diverse, di lasciare un segno, varrebbe veramente la perna di tentare.
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