La ragazza che voleva salvare il Messico - Diritto di critica
Marisol Valles Garcia ha vent’anni e gli occhi scuri di chi la paura la riflette ma non la subisce. I suoi capelli corvini, lisci e lunghi fino alle spalle, il suo viso squadrato e quella pelle dorata che non teme la luce del sole, tradiscono l’eredità di una terra difficile. Messicana, nata e cresciuta al confine con gli Stati Uniti, Marisol sa cos’è la morte: l’ha vista in faccia girando per le strade della sua città, ne ha sentito il peso sulle spalle, lei, giovane donna nata laddove essere donna è una colpa e non una ricchezza. Gli occhiali dalla montatura nera, quasi a voler riparare la vista dalla dura realtà, perché lei il male l’ha studiato lì, tra i banchi dell’università di Ciudad Juarez, in quella facoltà di criminologia che poteva aiutarla a dare un senso all’orrore della sua terra malata. Perché si sa, la scienza un senso lo trova sempre.
Ha pensato di poter cambiare le cose Marisol e lo scorso ottobre, di fronte ad un posto che nessuno voleva, quello di capo della polizia di Praxedis G Guerrero, cittadina nei pressi di Ciudad, lei si era fatta avanti. “Ho paura anche io come gli altri ma il nostro obiettivo è portare pace e sicurezza nella nostra città”, questo aveva dichiarato ai microfoni della CNN. Aveva assunto quell’incarico per “il popolo messicano” stanca di contare le vittime di una guerra che nessuno riusciva a fermare. Voleva andare nelle scuole, per i quartieri ad insegnare quello che lei aveva imparato sui libri, cercando il supporto e la cooperazione della sua comunità, della sua gente. L’avevano definita “la donna più coraggiosa del Messico”, lei che a soli vent’anni aveva deciso di sfidare il narcotraffico, il contrabbando e quella criminalità diffusa che sporcavano di sangue la sua normalità.
Poi Marisol ha capito. Ha capito che le risposte non sempre vengono dai libri, che non ci sono teorie utili a contrastare le minacce, la violenza, la paura. A quattro mesi dall’inizio della sua “missione”, ha deposto i panni dell’eroina. Secondo un funzionario locale Marisol avrebbe solo chiesto un permesso temporaneo per accudire la figlia malata, ma c’è chi sostiene che si starebbe già cercando un suo sostituto. “Dopo ripetute minacce di morte la ragazza si è trasferita negli Stati Uniti con alcuni familiari e ha presentato domanda d’asilo”, racconta un parente alla Abc, affermando che “una banda di criminali voleva obbligarla a lavorare per loro”.
La giovane dai capelli corvini ha fallito ed è fuggita, lei come le novemila persone che negli ultimi sei anni hanno lasciato la città. Nel nord del Messico sono state più di 30 mila le vittime del narcotraffico negli ultimi quattro anni. Dal 2006 il presidente Felipe Calderon ha impiegato 50 mila soldati contro i cartelli della droga: la lotta tra narcotrafficanti e forze di sicurezza ha conosciuto i risvolti più cruenti con sequestri, torture e decapitazioni. I paesi della valle del Juarez, limitrofi a Ciudad, si stanno spopolando: su 1064 abitazioni, più della metà risultano disabitate. Qual è la colpa di chi fugge e quale il merito di chi resta?
Marisol aveva coraggio, ma non le è bastato. Non c’è tradimento nella sua fuga, né voglia di abbandonare i cittadini, come sostiene parte della stampa estera. Solo paura e constatazione che la caparbietà non basta a cambiare le cose. Marisol ha preso con sé sua figlia e ha attraversato il confine: non ha potuto salvare la sua terra; ha cercato almeno di salvare se stessa, perché a vent’anni la guerra più ostinata si combatte per la vita.
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Le donne in divisa sono ridicole e più ridicoli sono quelli che le arruolano, questa ragazza è l’emblema della psicologia delle donne. Incapaci di essere realiste e certe che perchè sono donne tutto gli è consentito e che nessuno le toccherà. L’intramontabile convinzione “io lo cambierò”, come nel matrimonio. La stampa che enfatizzò il successo della sua nomina a sceriffa, ma solo perchè non vi erano concorrenti, ora tace e non diffonde la notizia della sua fuga.
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Meglio lei di tutti gli uomini in divisa che si son cagati addosso prima di lei e che la divisa la vestivano già, ma non accettavano l’incarico.
Siamo molto piu’ realiste di voi, che a quarant’anni ancora vi ammazzate di botte per un pallone , che dalla pubertà sbavate per un tanga e due tette rifatte, quando noi ormai abbiam già smesso di giocare con le bambole.
E se proprio sei l’unico a non saperlo ancora, a noi donne, proprio perchè donne siamo, ci toccano eccome, in tutti i sensi, lasciandoci addosso segni piu’ neri dell’ombretto. Il tutto senza la stampa che pubblicizza, nel silenzio complice delle nostre belle famiglie crisitiane.
Hai ragione, è impossibile cambiarvi , nè col matrimonio ne’ tantomeno col trapianto di cervello.
Maschilista, talebano, ignorante.
E offenditi pure, almeno ti togli il paraocchi.
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