''Le intercettazioni, il mezzo più garantista''. Incontro con Nicola Gratteri - Diritto di critica
Quella che inizia oggi sarà una settimana cruciale sul fronte della giustizia. Giovedì prossimo il governo Berlusconi promette di varare una riforma “epocale” della giustizia. Tra i vari provvedimenti, quasi certamente si tornerà a metter mano alle intercettazioni. Per fare chiarezza e capire i pro e i contro degli ascolti telefonici, Diritto di Critica propone l’intervento del Procuratore aggiunto di della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, a margine dell’ultimo convegno sulla legalità organizzato dall’associazione VeDrò a Roma.
“Per ogni persona interecettata – spiega Gratteri – vengono ascoltati almeno quattro telefoni: due cellulari, il numero dell’ufficio e di casa, oltre all’ambientale in macchina. Nel 2009 è stato detto che sono stati intercettati nove milioni di cittadini italiani. E’ falso. Per ascoltare un numero così elevato di persone avremmo avuto bisogno di 250mila ufficiali di polizia giudiziaria che nei fatti non ci sono“.
E sul costo effettivo delle intercettazioni, Gratteri è lapidario. Dati alla mano spiega che “le intercettazioni, in realtà, sono il mezzo più economico per svolgere le indagini. Se voglio sapere dove andrà una certa persona mi basterà mettere sotto controllo il suo telefono: saprò a che ora entrerà in una casa, quanto tempo ci starà e quando ne uscirà. Senza le intercettazioni, invece, per ottenere lo stesso risultato dovrò fare un pedinamento”.
L’esempio pratico chiarisce quanto ha appena spiegato: “se un soggetto parte da Reggio Calabria con cinque chili di cocaina e arriva a Roma, ci sono due alternative: mettergli il telefono sotto controllo oppure pedinarlo, operazione che necessita di almeno tre macchine con due o tre persone a bordo. Per questa seconda opzione lo Stato spende circa duemila euro e c’è l’alto rischio di essere individuati. L’intercettazione del cellulare, invece, costa ai cittadini 11 euro più iva per 24 ore”.
Sul fronte della prova, inoltre, le differenze tra un ascolto e la testimonianza di un pentito, ad esempio, sono sostanziali. “L’intercettazione – spiega Gratteri – è il mezzo più garantista. La prova è la voce ascoltata tra i due interlocutori, non le dichiarazioni di un testimone di giustizia che può affermare dieci cose vere e l’undicesima falsa. E per dimostrare l’undicesima ci vogliono almeno quattro o cinque anni. Se invece si incentivano le intercettazioni, abbiamo la voce degli attori protagonisti.
Resta il fatto che gli ascolti coperti da segreto finiscono sui giornali. La soluzione secondo Gratteri è immediata e di facile applicazione: “Partiamo da un dato pratico: oggi non esistono più le bobine, le intercettazioni avvengono tramite computer portatile, ogni pc può tenere sotto controllo una cinquantina di telefoni. La registrazione che ne esce è un file audio, proprio come una canzone: se voglio scaricare l’intercettazione, trasferisco il file su una penna usb, operazione che lascia una traccia nella memoria del computer. In ogni sala intercettazione c’è un responsabile, per ogni ascolto si può mettere una password legata ad un preciso responsabile. In questo modo si può sapere quando e chi ha passato il file ad un giornalista. Lo stesso avviene quando si concludono le indagini: l’ufficiale di polizia giudiziaria sigilla il cd e lo porta al pubblico ministero. Nella fase delle indagini preliminari, la notizia la fa uscire l’ufficiale giudiziario o il pm, il giornalista – di contro – fa il suo lavoro ma è anche vero che se l’indagine verte su un traffico di cocaina e tra le intercettazioni ci sono particolari di gossip, di sicuro i secondi finiranno sui quotidiani, anche se sono esterni all’indagine. Proprio per queste fughe di notizie – conclude – si vuole buttare l’acqua sporca con il bambino”.