«Una vera e propria crisi umanitaria»: in Libia peggiorano le condizioni dei profughi africani - Diritto di critica
Tra l’incudine e il martello: la vita per i profughi africani bloccati in Libia si fa di ora in ora sempre più difficile. Da una parte, i manifestanti che da giorni combattono contro il regime li attaccano perché vedono in loro dei mercenari, dall’altra i sostenitori di Gheddafi li cercano per costringerli ad ingrossare le loro fila.
La situazione è stata denunciata già nei giorni scorsi da don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, rimasto in contatto con alcuni profughi dal Corno d’Africa già dai tempi dei respingimenti dall’Italia verso la Libia. E mentre alcuni hanno cercato nuove vie di fuga attraverso l’Egitto per arrivare in Israele, ritrovandosi poi nelle mani dei predoni del Sinai, molti sono invece rimasti in Libia per mesi: stranded, bloccati senza la possibilità di andare altrove né di tornare nei propri paesi d’origine. Allo scoppiare delle rivolte, quando il raìs ha ingaggiato mercenari africani per combattere i manifestanti che dalle strade e dalle piazze chiedevano le sue dimissioni, la situazione è precipitata. Già una settimana fa Zerai aveva dato voce alle loro richieste d’aiuto: attaccati con coltelli e machete dai manifestanti che nella loro pelle scura vedevano una minaccia, i profughi avevano chiesto un intervento da parte della comunità internazionale, ma a distanza di giorni la situazione non è affatto migliorata.
Mentre la Libia continua a tremare sotto i colpi degli scontri tra ribelli e fedelissimi del regime, sono sempre di più i profughi africani – provenienti in larga parte da Somalia, Eritrea ed Etiopia – che si ritrovano da un giorno all’altro per strada senza alcuna protezione: « in queste ore abbiamo circa 1.800 profughi eritrei sfollati, cacciati dai proprietari che non vogliono averli in casa a Tripoli. – spiega Zerai – Molti altri hanno lasciato le loro case per paura di assalti notturni da parte di sconosciuti armati e a volto coperto». Le testimonianze parlano anche di almeno 235 eritrei bloccati nel porto di Bengasi in condizioni di totale abbandono, due dei quali feriti gravemente, e di altre 350 persone (soprattutto donne con bambini piccoli) trattenute in una stazione di polizia a Towshia, 40 km da Tripoli, senza cibo né acqua. «Ci sono persone bisognose di cure mediche urgenti e donne partorienti – prosegue Zerai – che non vengono accettate negli ospedali perché africane. Si sa di persone uscite di casa per fare spesa e poi sparite nel nulla e di mamme senza cibo per i propri bambini».
Una situazione su cui si cerca comunque di costruire un business: oltre ai profughi uccisi, molti sono spariti nel nulla e i trafficanti di esseri umani – già attivi prima che il Trattato di Amicizia tra Italia e Libia mettesse un tappo al commercio di carne umana dalla Libia spostandolo verso altre rotte – si stanno organizzando per proporre a questi disperati dei viaggi a pagamento da Tripoli verso una presunta salvezza fuori dalla Libia.
Un business reso possibile anche dalla difficoltà di intervento da parte delle Nazioni Unite: «non ci sono gli aerei e le navi necessarie per evacuare le persone provenienti da paesi poveri o devastati dai conflitti. -afferma infatti in un intervento l’Alto Commissario per i Rifugiati Antònio Guterrese – I governi devono prendere in considerazione le necessità di tutte le persone vulnerabili, non solo quelle dei propri cittadini rimasti intrappolati in Libia». L’UNHCR ha riconosciuto come rifugiati 8.000 persone tra palestinesi, iracheni, sudanesi, etiopi, somali ed eritrei che si trovano attualmente nel Paese, mentre oltre 3.000 hanno presentato domanda di asilo: le stime parlano però di molte altre migliaia di persone nelle stesse condizioni e senza la possibilità di contattare le organizzazioni internazionali. «L’UNHCR chiede a tutti i governi dei paesi confinanti, in Nord Africa così come in Europa, di lasciare aperte le frontiere marine, terrestri ed aeree per le persone costrette a fuggire dalla Libia – ha riferito ancora Guterres – indiscriminatamente e senza distinzioni di origine. Gli africani sembrano essere particolarmente a rischio perché sospettati di essere mercenari stranieri e la nostra preoccupazione è che non riescano a mettersi al sicuro».
La preoccupazione è condivisa anche da Zerai. «Si sta consumando una vera e propria crisi umanitaria. – spiega – Nessuno aiuta queste persone, tranne la Caritas e la chiesa cattolica. E l’UHNCR – aggiunge – sembra inesistente: chiediamo che l’ONU allestisca dei campi temporanei in Libia per raccogliere questi profughi abbandonati letteralmente al loro destino. Si attivi presto – conclude – per la loro evacuazione verso paesi sicuri, in grado di garantire loro la protezione: queste persone hanno urgente bisogno di aiuto».