Pirati somali: 12 miliardi di dollari l’anno il giro d’affari e in continua ascesa - Diritto di critica
Quattro ostaggi americani sono stati uccisi dai pirati somali martedì scorso. Ultimo episodio di una pratica che si sta diffondendo al largo della Somalia, da quando la situazione geopolitica dei paesi nordafricani si è fatta instabile. Per la prima volta, a perdere la vita sono stati quattro cittadini statunitensi a bordo dello yacht ‘Quest’ sul quale i due proprietari dell’imbarcazione, i coniugi Jean e Scott Adam, avevano cominciato un giro del mondo nel dicembre del 2004, distribuendo copie della Bibbia nei paesi che raggiungevano. I loro corpi senza vita, e quelli di due amici invitati per la traversata, sono stati trovati sull’imbarcazione dalle forze speciali americane. I militari hanno arrestato 15 pirati ed ora saranno processati negli Stati Uniti. A bordo dello yacht, oltre ai quattro americani uccisi, sono stati trovati anche i corpi esanimi di due predoni.
A parziale giustificazione della loro condotta, i pirati nei giorni scorsi avevano detto di aver ucciso gli ostaggi per rappresaglia dopo un attacco preventivo subito dalla marina degli Stati Uniti. “Sono totalmente infondate le accuse”, fanno sapere i vertici militari Usa. “Eravamo in procinto di interloquire con i pirati – ha riferito Bill Speaks, portavoce del Comando Centrale americano – quando abbiamo sentito colpi d’arma da fuoco di piccolo calibro. Poi una granata ed un missile guidato cacciatorpediniere sono stati esplosi contro la nave Sterett. Quando le nostre forze speciali sono entrate in azione – ha aggiunto Speaks – gli ostaggi erano stati già uccisi”. L’imbarcazione statunitense era a soli 500 metri di distanza dallo yacht.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, avvertito del sequestro la scorsa settimana, aveva autorizzato l’uso della forza in caso di minaccia imminente per gli ostaggi. Di certo l’uccisione dei quattro cittadini americani lascia aperti molti interrogativi. Andrew Mwangura, esperto di pirateria marittima e redattore del sito ‘Somalia Report’, ha riferito che “la presenza di 19 persone su uno yacht potrebbe aver causato attimi di tensione”. Il giornalista, inoltre, ha posto l’attenzione sulla sorte dei due pirati trovati morti a bordo. Potrebbe esserci stato un intervento militare da parte della marina Usa, del quale non si è saputo nulla. Il Quest è stato tenuto sotto controllo per tre giorni da parte di quattro navi da guerra, tra cui una portaerei.
L’ultimo episodio citato precede quello dello scorso 8 febbraio, quando fu sequestrata una petroliera italiana ‘Savina Caylyn’ mentre navigava nell’Oceano Indiano, a circa 880 miglia dalla Somalia e 500 dall’India. L’ultima strategia adottata dai bucanieri li ha visti spingersi lontano dalle coste somale e dal Golfo di Aden, adoperando mercantili già sequestrati e utilizzati come ‘navi madre’ che fonti militari stimano in circa 20 unità. La novità è rappresentata dal fatto che negli ultimi anni i pirati stanno trasbordando i marittimi sequestrati da una nave all’altra. Il primo caso è avvenuto lo scorso 12 gennaio, quando sei persone (due cittadini danesi e quattro filippini) sono state trasferite dalla loro nave a bordo di un peschereccio adoperato per l’abbordaggio.
Questa tattica potrebbe complicare notevolmente sia le attività di negoziazione, sia le eventuali azioni di rilascio, che le garanzie di sicurezza per gli stessi marittimi. Gli ostaggi, una volta a bordo della nuova imbarcazione, devono cooperare attivamente con i pirati alle attività di abbordaggio delle altri navi, con tutti i rischi del caso.
Qual è il giro di soldi internazionale che genera il fenomeno-pirateria? Il giro d’affari è notevole: oggi il costo medio di un riscatto si aggira intorno ai 5,5 milioni di dollari. Lo scorso anno sono stati pagati nella sola Somalia ben 238 milioni di dollari, 121 milioni in più (con un incremento del 102%) rispetto al 2009. E di questi 238 milioni si stima che solo il 30% rimanga in Somalia, mentre il restante 70% sia convogliato nei ‘paradisi fiscali’ in Europa o Medio Oriente. Fonti giornalistiche stimano che la pirateria nel suo complesso abbia un costo di 12 miliardi di dollari l’anno.
Nel 2010 ci sono stati 445 attacchi da parte dei pirati somali, con l’Oceano Indiano al centro della violenza. Ad oggi non è stato istituito alcun tribunale internazionale ad hoc e questo favorisce l’attività dei moderni bucanieri e la loro impunità. Lo scorso anno, come riferisce l’ ‘International maritime bureau’ di Londra sono state rapite 1881 persone e sequestrate 53 navi, 49 delle quali nelle acque al largo della Somalia, vero e proprio snodo della pirateria. Tuttora nelle mani dei ‘jin’ somali ci sono ben 31 navi e 716 membri di equipaggi di varie nazionalità.
Le autorità politiche locali non hanno mai preso le distanze in maniera netta. Il leader libico Gheddafi negli scorsi anni ha cercato di legittimare la pirateria somala come una forma di riscatto e di difesa delle acque territoriali del Paese. In occasione della festa per i 40 anni della rivoluzione libica (sebbene non invitato ufficialmente) era presente anche uno dei pirati più temibili, il signore della guerra somalo Mohammed Abdi Hassan Hayr ‘Afweune’.
I bucanieri del terzo millennio, che in occasione del terremoto di Haiti donarono parte dei loro ‘proventi’ alla ricostruzione dell’isola, per ora sembrano essere sordi alle chiamate del fondamentalismo islamico. Ma cosa potrebbe succedere se le abilità acquisite nelle attività corsare fossero utilizzate in operazioni terroristiche nel settore dei trasporti marittimi?
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