Rom, “i minori sono le prime vittime di un generale clima di persecuzione” - Diritto di critica
Pregiudizi, scarso dialogo con le famiglie d’origine, superficialità degli assistenti sociali. Sono le criticità maggiori del sistema di protezione dei minori rom, evidenziate da una ricerca dell’ Osservatorio sul razzismo e le diversità ‘M. G. Favara’ (Università Roma Tre).
La scarsa conoscenza e la mancanza di un confronto diretto ostacolano i percorsi di accompagnamento e protezione dei minori: “spesso le assistenti sociali hanno una frequentazione sporadica dei campi rom (al massimo due o tre volte in tutto) – spiega Francesco Pompeo, coordinatore responsabile dell’Osservatorio, intervistato da Diritto di Critica – e giudicano quel contesto in modo superficiale”. Nei casi di affido, inoltre,“raramente si ha l’accortezza di mantenere i rapporti con le famiglie naturali”. E, la maggior parte delle volte, “la presa in carico non viene neanche segnalata ai genitori rom, che da un giorno all’altro vedono sparire i propri figli e vivono quella situazione come un prelevamento forzato”. Alla base, una serie di stereotipi che ostacolano l’accettazione dell’altro: “se si continua a pensare che le realtà rom siano solo contesti antieducativi e pericolosi, i vari interventi verranno percepiti dal minore come uno sradicamento forzato”. E questo diventa paradossale anche per la legislazione, “che dovrebbe invece garantire una continuità con la famiglia naturale”.
I progetti di protezione, spesso, vengono interrotti per “la mancanza di un meccanismo di ritorno. – continua Pompeo – Non basta inserire i minori nelle scuole, perché queste vengono percepite come realtà estranee. Occorre invece sensibilizzare maggiormente le famiglie e le realtà che accolgono questi ragazzi, promuovere percorsi a lungo termine, attraverso il sostegno e il dialogo reciproco”. Iniziando dai servizi sociali, che “invece di cercare scorciatoie, dovrebbero fare lo sforzo di calarsi in quell’universo, in modo da effettuare un’analisi critica”, e da evitare “un’acculturazione forzata, che parte dal paradossale presupposto di salvare i minori dalle loro stesse famiglie”.
E i minori sono le “vittime” più esposte di un generale clima persecutorio: “il rapporto con le istituzioni è difficile. – spiega Pompeo – Lo stesso censimento ha mostrato una paura diffusa tra i rom, alimentata dall’intera vicenda sicurezza”. Inoltre, anche lo spostamento del ruolo di maggiore ente affidatario dalle associazioni al Vicariato e alla Croce Rossa “rispecchia la precisa scelta politica di far passare la questione rom come una realtà di emergenza. Gli stessi sgomberi, che costituiscono il maggiore momento mediatico, vengono effettuati con l’intervento della Folgore, ma non viene mai raccontato che i rom spesso si trasferiscono in nuove tendopoli. E le tende sono le stesse che la Protezione civile e l’Esercito usano in Afghanistan e nelle altre situazioni di conflitto, con la scritta missione internazionale”. Il più delle volte, si tratta di grandi campi di container, allestiti fuori Roma, “spesso ostacolati dagli stessi comuni coinvolti”. Si crea così, una situazione di “ulteriore segregazione, che alimenta la criminalità, che dall’accattonaggio può trasformarsi in traffico di droga”. Non è con i grandi campi, dunque, che si supera l’emergenza, “ma con un progetto pluriennale, che dovrebbe prevedere micro-realtà che si integrino nei singoli quartieri. Meglio ancora, l’inserimento in case popolari, all’interno di una politica sociale più ampia”
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