Riccò in fin di vita dopo un'autoemotrasfusione: cos'è e a cosa serve - Diritto di critica
Domenica non è stata una giornata positiva per il mondo dello sport. Infatti, due famosi atleti, in circostanze diverse, hanno rischiato di perdere la vita. Della vicenda umana di Robert Kubica (prima guida in Formula 1 della Lotus-Renault), coinvolto in un grave incidente stradale nel corso di un rally in Liguria, si è saputo ogni dettaglio praticamente in tempo reale. Ciò che è accaduto invece a Riccardo Riccò, ciclista modenese di Formigine, è stato reso noto con un giorno di ritardo: un blocco renale, tale da costringerlo al ricovero d’urgenza, avrebbe potuto ucciderlo a soli 27 anni.
Riccò era considerato uno degli enfants prodiges della bicicletta. Al suo secondo Giro d’Italia aveva stregato gli appassionati: gli scatti in salita, che gli valsero nel 2008 il 2° posto alle spalle di Contador nella classifica finale e la maglia bianca di miglior giovane, riportavano alla mente le imprese di Marco Pantani. Dopo un po’ di titubanza, il corridore decise di correre anche il successivo Tour de France: vinse due tappe in modo splendido (in una rimontando l’intero gruppo in volata sullo strappo conclusivo, in un’altra arrivando in solitaria dopo una lunga fuga). Ma quei successi, con ovvia probabilità, non erano meritati.
Il Cobra, come veniva soprannominato dai fan, venne poi fermato per uso di sostanze dopanti, subendo persino l’onta del fermo nelle gendarmerie francesi. Ottenere successi con l’imbroglio (tale è considerato l’uso del cosiddetto “CERA“) gli è costato 24 mesi di squalifica (poi ridotti a 20). Per uno sportivo che tanto aveva emozionato era necessario ricominciare, ricostruendosi così un’immagine per rientrare nel cuore degli spettatori delusi. Nel 2010 il ritorno alle corse: non i grandi appuntamenti, ma gare come il Giro del Trentino e il Giro d’Austria. La sofferta affermazione in quest’ultima kermesse aveva garantito a Riccò un nuovo contratto con una squadra di prima fascia e dunque la possibilità di ritornare nel gotha delle due ruote.
Tanti sono rimasti “corrotti” dalla trappola del doping, non solo nel ciclismo. Altrettanti, con l’aiuto di persone vicine o grazie alla semplice forza di volontà, sono usciti da un circolo dannoso per l’immagine dello sport e, soprattutto, per la salute. Per lo scalatore emiliano sembrava esservi la stessa speranza. Ma a frenargli nuovamente la pedalata in queste ultime ore non è stato il semplice malessere. Il medico che gli ha garantito i primi soccorsi avrebbe parlato di “autoemotrasfusione“. Un’altra pratica che garantisce sì migliori prestazioni (in soldoni, il proprio sangue “trattato e purificato” viene “reimpiantato” nell’organismo), ma è sportivamente illecita oltre che pericolosa per il fisico.
Nonostante le poche certezze, sembrerebbe plausibile – il condizionale è d’obbligo – che un simile atto, compiuto senza una strumentazione degna di una clinica e a livello del tutto personale, possa implicare embolie o nefrosi di sorta. La bramosia di alzare le mani in prossimità del traguardo non deve compromettere, tra l’altro, l’esistenza di uno sport pubblicizzato nell’ultimo decennio più dalle squalifiche dei singoli che dai trionfi. Un segnale agrodolce: da un lato viene perennemente debellata la disonestà, dall’altro sorge la convinzione che, tra borracce e forcelle, permanga vigile uno spettro fraudolento capace di portare ad un’autodistruzione totale.
Per Riccò, potenziale reo di “una grave carognata“, oltre alla logica ipotesi di licenziamento da parte del suo team, sembra profilarsi il baratro della radiazione. Conclusione tutt’altro che dignitosa.
-
‘Domenica non è stata una giornata positiva per il mondo dello sport.’ Una battutaccia, visto il protagonista della storia.
Comments